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Von der Leyen sotto attacco, Meloni sotto pressione: il centrodestra trema, l’accordo sui dazi può saltare

Pubblicato: 30/07/2025 15:33

Bruxelles trema, Roma tentenna. Non sarà Ursula von der Leyen a saltare a settembre, ma potrebbe farlo l’accordo sui dazi al 15% firmato con gli Stati Uniti. Troppo fragile. Troppo divisivo. Troppo scoperto in una fase in cui l’Europa appare incapace di parlare con una voce sola.

Il verdetto, seppur non ufficiale, circola insistente tra Palazzo Chigi e i vertici europei: l’intesa traballa. E con essa, la credibilità di chi l’ha siglata.

Von der Leyen isolata, Macron e Orbán furiosi

Il dato politico è crudo: von der Leyen ha ceduto a Trump, e perfino i più cauti, nei corridoi di Bruxelles, lo ammettono. Ma la cosa più allarmante è che non esiste un’alternativa politica credibile. Il risultato? Una rivolta trasversale.

Macron e Orbán – il liberalista e il sovranista – sono furiosi. In Germania, il cancelliere Friedrich Merz, pur essendo dello stesso partito della presidente della Commissione, si arrampica sugli specchi: “Poteva andare peggio”. Intanto, l’industria tedesca è in rivolta e l’Spd minaccia una crisi di governo. Il fantasma dell’AfD al 40% agita più di una cancelleria.

A Roma nervi tesi: centrodestra in difficoltà

E in Italia? La premier Giorgia Meloni ostenta calma. Ma nel centrodestra, i malumori sono evidenti. La Lega attacca von der Leyen ma evita di colpire Trump: il vero bersaglio è il Green Deal e l’agenda ambientale di Bruxelles. Forza Italia, al contrario, è nel pieno dell’imbarazzo: Antonio Tajani sa quanto l’accordo possa danneggiare le imprese italiane, ma non può dirlo a voce alta.

A colpire a fondo è invece l’opposizione. Elly Schlein, intervistata da Tommaso Labate durante il Magna Graecia Film Festival, non fa sconti: “È una resa a Trump. L’accordo prevede dazi generalizzati al 15% senza alcuna reciprocità. L’impatto sarà drammatico. E la colpa è anche dei nazionalisti europei amici di Trump. Compreso il nostro governo”.

Chi dopo Ursula? Nessuno. Ed è questo il problema

Nel frattempo, tra le capitali europee è partito il toto-successione. Ma il problema è che non c’è un successore credibile. Manfred Weber è considerato troppo a destra. I socialisti e i verdi lo boccerebbero in partenza. Il nome di Mario Draghi fa tremare più di una cancelleria: troppo forte, troppo indipendente, troppo “Mario”. E poi c’è un ostacolo formale: non sono previste elezioni anticipate per il Parlamento Ue.

E allora? Allora si resta con Ursula, ma delegittimata. E l’ipotesi che circola a bassa voce è inquietante: il Parlamento boccerà l’intesa, il Consiglio proverà a commissariarla, e nel frattempo si rischia una guerra commerciale con Washington.

Il pericolo vero: la disintegrazione dell’Unione

In Francia si spinge già per il bazooka fiscale contro i colossi web americani. L’Italia e la Germania tentennano: non vogliono lo scontro frontale, ma sanno che questo accordo, questa “intesa scozzese” con Trump, non potrà reggere.

A Roma, i sondaggi preoccupano la maggioranza. L’accordo con Trump rischia di diventare politicamente tossico. Meloni sta già registrando malcontento per la su posizione sul riarmo, che in una fase di crisi sociale piace davvero a pochi. Questo ulteriore tassello potrebbe portare a risultati disastrosi, con il centrodestra a forte rischio nei sondaggi e per le prossime elezioni.

Ma il problema è più profondo: non è solo il centrodestra a tremare e non è solo l’accordo a essere a rischio. È l’intera architettura politica dell’Unione europea. Il rischio più grande non sono i dazi. Il rischio è che ogni Stato vada a trattare per conto proprio con Washington, scavalcando Bruxelles. Sarebbe la fine dell’unità europea. O forse, l’inizio della fine.

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