
Una febbre improvvisa, un malessere indistinto, una telefonata al medico di famiglia che sembra dettata da eccessiva cautela. Inizia così, spesso, il decorso dell’infezione da virus West Nile: un disturbo silenzioso che, nella maggior parte dei casi, non dà segnali evidenti, ma che in determinate condizioni può rivelarsi potenzialmente letale. L’estate italiana, ancora una volta, si confronta con una minaccia invisibile e diffusa, che mette a nudo la fragilità di un sistema di prevenzione che fatica a stare al passo con i cambiamenti climatici e ambientali.
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Dietro l’apparente normalità di un’estate qualsiasi, fatta di giornate torride e zanzare sempre più presenti, si cela un fenomeno epidemiologico in espansione, che sposta il baricentro della sua pericolosità da nord a sud, insinuandosi in territori fino a poco tempo fa considerati immuni. E mentre le autorità sanitarie si attivano per contenere l’emergenza, i dati cominciano a raccontare una storia ben più complessa di una semplice stagione infettiva.
Decessi tra Lazio e Campania: nove le vittime accertate
Negli ultimi giorni, tra Lazio e Campania, si sono verificati nuovi decessi legati al virus West Nile, portando a nove il numero totale delle vittime dall’inizio della stagione alla data di giovedì 31 luglio 2025. Si tratta di pazienti prevalentemente anziani e con patologie pregresse, i più esposti allo sviluppo della forma neuroinvasiva, la complicanza più temuta dell’infezione. Non mancano però giovani ricoverati in ospedale, a testimonianza che il virus non risparmia del tutto le fasce d’età più basse.
L’incremento dei contagi, in aree finora non considerate a rischio, ha spinto diversi comuni a predisporre disinfestazioni straordinarie contro le zanzare, in particolare la Culex pipiens, nota come zanzara comune. Diversamente dalla più aggressiva zanzara tigre, la Culex ha abitudini notturne e crepuscolari, e rappresenta oggi il principale vettore della trasmissione del West Nile.
La crescita dei casi e il rischio sottostimato
A parlare dell’attuale situazione è il professor Giovanni Rezza, epidemiologo ed esperto di infezioni emergenti. Secondo quanto riferisce a Fanpage, l’aumento dei casi in Campania (dove si erano già verificati episodi nel 2024, ma più a sud) e, soprattutto, nel Lazio, dove è la prima volta che si registrano contagi umani, rappresenta un campanello d’allarme. Quella che si osserva, sottolinea Rezza, è solo «la punta dell’iceberg». I casi gravi vengono diagnosticati, ma si sospetta che il numero reale degli infetti sia molto più elevato.

Se nel 2024 si erano contati 20 decessi totali, il dato odierno — nove morti a fine luglio — lascia ipotizzare che la stagione 2025 possa registrare un numero di vittime superiore. A preoccupare non è tanto la diffusione del virus, quanto l’apparente incremento della letalità, oggi stimata attorno al 20% dei casi diagnosticati, contro il 10-12% dell’anno precedente. Il motivo, secondo Rezza, potrebbe essere una sottodiagnosi dei casi lievi, oppure la particolare vulnerabilità delle persone contagiate.
Virus in movimento: nuove aree colpite
La vera novità di quest’anno è rappresentata dalla geografia del contagio. Mentre nella Pianura Padana il virus West Nile è presente da oltre un decennio, con ricorrenze annuali ormai stabilizzate, oggi i focolai sembrano concentrarsi nel Centro Sud, in particolare nella provincia di Caserta e in vaste aree del Lazio. Questo spostamento rende necessaria una sorveglianza più capillare e un aggiornamento delle misure di prevenzione.
Tra gli interventi considerati prioritari: disinfestazioni con larvicidi, installazione di zanzariere, uso regolare di repellenti e una generale attenzione alla prevenzione del ristagno d’acqua, che rappresenta il terreno ideale per la proliferazione delle zanzare. Ogni intervento deve avere l’obiettivo di abbassare la densità della popolazione di Culex, attiva durante le ore serali, notturne e fino all’alba.
Prevenzione, diagnosi e sfide terapeutiche
Un altro punto critico è la diagnosi tempestiva. La maggior parte delle persone infette rimane asintomatica, mentre una su cinque sviluppa sintomi come febbre, mal di testa e dolori muscolari. In estate, una febbre superiore ai 38 gradi deve far scattare l’allarme, suggerisce Rezza, specialmente se si vive in zone endemiche. È necessario rivolgersi al medico e valutare test specifici per i Flavivirus, categoria che include anche Dengue e Chikungunya.

Attualmente non esistono né vaccini né terapie antivirali specifiche per la West Nile, motivo per cui la risposta medica si limita a trattamenti di supporto. Una criticità non trascurabile, soprattutto per le fasce di popolazione più fragili. Secondo Rezza, la malattia è stata per lungo tempo trascurata dalla ricerca, e solo negli ultimi anni si è riacceso l’interesse per la messa a punto di antivirali capaci di attraversare la barriera ematoencefalica, qualora il virus arrivi al cervello.
Serve un piano nazionale e più prevenzione
Le misure di emergenza, per quanto fondamentali, non bastano più. L’epidemiologo sottolinea l’importanza di intervenire preventivamente, con campagne di disinfestazione mirate già prima dell’estate, spinte da una regia centralizzata tra Ministero, Regioni e Comuni. È inoltre essenziale rafforzare il sistema di sorveglianza attiva, che oggi si basa su animali sentinella come cavalli e polli, ma che potrebbe includere anche il monitoraggio degli uccelli migratori, spesso portatori del virus.
Serve infine una geolocalizzazione dinamica dei casi umani, per individuare rapidamente i nuovi focolai e agire di conseguenza. In un’Italia sempre più simile a un Paese tropicale part-time, come osserva Rezza, in cui le estati si alternano tra Dengue, Chikungunya e ora West Nile, l’unico modo per non farsi trovare impreparati è pensare in anticipo, agire localmente e coordinarsi a livello nazionale.