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“Genocidio, non posso trattenermi”. Il grande scrittore sbotta così, esplode la polemica

Pubblicato: 01/08/2025 10:52
Gaza David Grossman genocidio

Certe parole pesano come macigni. Alcune sono talmente cariche di storia, dolore e memoria, da essere evitate per decenni. Ma a volte, come una diga che cede sotto la pressione crescente dell’acqua, anche il linguaggio più misurato finisce per crollare. È quanto accaduto a David Grossman, autore tra i più amati della letteratura contemporanea e figura di riferimento del dibattito pubblico israeliano, che in una recente intervista ha pronunciato una parola che mai avrebbe voluto usare: genocidio.
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È un termine che segna uno spartiacque. Non solo lessicale, ma etico, politico, umano. Grossman, che ha perso un figlio in guerra, non è nuovo alla complessità delle scelte di Israele, ma ha sempre difeso il diritto del suo Paese alla sicurezza e alla legittima difesa. Tuttavia, oggi afferma: “Ho fatto tutto il possibile per non usare questa parola. Ma ora non posso più evitarla”.

Il peso di una parola che divide

“Per anni ho rifiutato di utilizzare questa parola: genocidio. Ma adesso non posso trattenermi dall’usarla”, spiega Grossman. Lo scrittore racconta di essere stato colpito dalle immagini viste sui giornali, dalle testimonianze dirette di chi ha assistito alle operazioni militari e, soprattutto, da ciò che ha sentito “parlando con persone che sono state lì”. Il riferimento è all’offensiva israeliana nei territori palestinesi, e in particolare al crescente numero di vittime civili.

Grossman non parla da attivista politico né da polemista di parte. Parla da padre, da intellettuale, da cittadino israeliano che ha vissuto sulla propria pelle la tragedia della guerra. Suo figlio Uri, militare di leva, è stato ucciso nel 2006 da un missile anticarro durante un’operazione delle forze di difesa israeliane nel sud del Libano, proprio nei giorni conclusivi del conflitto con Hezbollah. La sua morte, sopraggiunta pochi giorni prima della cessazione del fuoco stabilita dall’ONU, è diventata una ferita aperta nella biografia pubblica e privata dello scrittore.

“Una valanga che porta altra distruzione”

Il termine genocidio, prosegue Grossman, non è solo una definizione: è “una parola-valanga”, capace di crescere, travolgere, generare ulteriore sofferenza. Eppure, nonostante questa consapevolezza, oggi sente di non poterla più ignorare. “Devo constatare che sta accadendo di fronte ai miei occhi”, afferma. Ed è una constatazione che fa “con il cuore spezzato”.

Quella che un tempo sembrava un’esagerazione polemica viene ora sdoganata da una delle voci più lucide del panorama culturale israeliano. Per Grossman, l’accostamento tra Israele e genocidio non è soltanto una provocazione esterna, ma un sintomo di un profondo malessere interno, di qualcosa di “molto brutto” che sta accadendo “dentro di noi”, al popolo ebraico stesso.

La soluzione dei due Stati resta l’unica via

Nonostante la durezza della sua analisi, Grossman non abbandona la speranza. Anzi, rilancia con forza la necessità di una soluzione politica che ponga fine a un conflitto apparentemente senza sbocco. “Sono disperatamente fedele all’idea dei due Stati”, afferma, “perché non vedo alternative”. E aggiunge: “Sarà complesso, ci saranno attacchi, ma dovremo comportarci in modo politicamente maturo”.

L’alternativa, sostiene Grossman, è la perpetuazione di una guerra senza fine, che logora entrambe le società e uccide, oltre ai corpi, anche la possibilità di una coesistenza futura. È una posizione difficile da sostenere oggi, nel clima polarizzato che domina il dibattito, ma che lo scrittore continua a difendere con ostinazione.

guerra a gaza

Il riconoscimento dello Stato palestinese

Sul fronte internazionale, Grossman guarda con favore a uno degli strumenti che diversi Paesi stanno cominciando a usare come pressione diplomatica su Israele: il riconoscimento dello Stato palestinese. “Credo sia una buona idea”, dice, “e non capisco l’isteria che l’ha accolta qui in Israele”.

Secondo lo scrittore, trattare con uno Stato reale e non con “un’entità ambigua” come l’Autorità Palestinese potrebbe rappresentare un passaggio necessario per dare concretezza al processo di pace. Ovviamente, puntualizza Grossman, questo comporta condizioni rigorose: niente armi, elezioni trasparenti, e l’esclusione di chi intende usare la violenza contro Israele.

Una voce fuori dal coro, ma ascoltata

Nel contesto attuale, le parole di David Grossman suonano come un grido d’allarme, ma anche come un tentativo di non rinunciare del tutto al dialogo. È la voce di un intellettuale che ha scelto di non tacere, anche a costo di esporsi a critiche feroci. Una voce che richiama Israele alla responsabilità morale e politica, e che invita a guardarsi allo specchio prima di accusare il mondo di incomprensione o ostilità.

Forse, proprio perché provengono da dentro il tessuto sociale e culturale israeliano, le sue parole possono avere un impatto maggiore. Forse, in un momento in cui i toni si fanno sempre più estremi, serve anche il coraggio di chi non rinuncia alla complessità. Di chi, come Grossman, sceglie la verità del dubbio piuttosto che la comodità della retorica.

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Ultimo Aggiornamento: 01/08/2025 11:46

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