
Il progetto del governo italiano di esternalizzare parte delle procedure per i richiedenti asilo si scontra, ancora una volta, con la giurisprudenza europea. Una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la designazione dei Paesi terzi come “sicuri” deve essere sottoposta a un controllo giurisdizionale effettivo, indipendente e accessibile. Un colpo diretto alla linea politica dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, che puntava sull’operatività dei Cpr in Albania per accelerare i rimpatri dei migranti.
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La Corte risponde così ai due quesiti pregiudiziali posti da giudici italiani — incluso quello della Cassazione — dopo il moltiplicarsi dei ricorsi e delle sentenze di annullamento dei trattenimenti nei centri allestiti per le procedure accelerate di frontiera. Una vicenda che tocca il cuore della politica migratoria italiana ed europea, e che adesso si arricchisce di un pronunciamento vincolante destinato ad avere effetti immediati e duraturi.
L’interpretazione della Corte sul concetto di Paese sicuro
Nel dettaglio, la Corte di Giustizia europea ha stabilito che uno Stato membro non può inserire un Paese terzo nella lista dei Paesi di origine sicuri se quest’ultimo non garantisce una protezione adeguata all’intera popolazione. Questo principio vale anche nel caso in cui il Paese sia generalmente considerato sicuro, ma presenti criticità per alcune categorie di persone o aree geografiche specifiche.
La designazione può avvenire attraverso un atto legislativo, ma tale atto deve essere suscettibile di revisione giurisdizionale, secondo quanto stabilito dal diritto dell’Unione europea. La Corte sottolinea anche che, fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento UE prevista per il 12 giugno 2026, gli Stati membri non possono considerare sicuro un Paese che non soddisfi pienamente i criteri sostanziali previsti dalla direttiva ancora in vigore.

L’impatto sul progetto dei Cpr in Albania
La decisione rappresenta un ostacolo rilevante al piano dell’esecutivo italiano di utilizzare i centri in Albania come strumento di gestione rapida dei flussi migratori, in particolare attraverso le procedure accelerate di frontiera. Il progetto, pensato per ospitare richiedenti asilo soccorsi in mare da navi italiane, prevedeva l’utilizzo di due strutture nella località di Schengjin e Gjader. Tuttavia, dopo i ripetuti annullamenti delle misure di trattenimento da parte dei giudici italiani, il piano è rimasto largamente inattuato: appena 25-30 migranti accolti, a fronte di una capienza stimata di circa 400 posti.
Con la nuova sentenza, la Corte conferma che i giudici italiani hanno agito correttamente nell’annullare i trattenimenti basati su una designazione automatica e generalizzata dei Paesi sicuri da parte del governo. La legittimità delle loro decisioni trova così un riconoscimento esplicito a livello europeo.
Le implicazioni della sentenza per l’azione del governo
Il pronunciamento della Corte di Giustizia UE arriva in un momento delicato per il governo italiano, che puntava su una maggiore autonomia nella gestione dei flussi migratori attraverso l’applicazione delle procedure di frontiera nei Paesi terzi. Tuttavia, la giurisprudenza europea chiarisce che non basta un atto unilaterale dello Stato per definire un Paese sicuro: serve una valutazione approfondita, soprattutto in riferimento al rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
Il verdetto complica i piani futuri del governo, che contava su una sentenza più favorevole, anche alla luce delle posizioni politiche espresse da diversi Stati membri presso la Corte. Ma il diritto, come spesso accade, prende una direzione diversa dalla politica.

Una direttiva vincolante fino al 2026 (almeno)
La sentenza specifica inoltre che, fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo, prevista per giugno 2026, resta in vigore l’attuale direttiva. Solo da quella data in poi sarà possibile prevedere eccezioni specifiche per alcune categorie di persone, ma non prima, salvo decisione contraria da parte del legislatore europeo. Il governo italiano potrà chiedere di anticipare l’entrata in vigore, ma non potrà procedere unilateralmente.
In altre parole, fino al 2026 sarà molto difficile riportare in Albania i migranti soccorsi in mare e provenienti da Paesi considerati sicuri secondo l’attuale lista del Viminale. La Corte ha sancito che il solo inserimento formale nella lista non è sufficiente a giustificare una procedura accelerata, tanto meno il trattenimento in centri extra-UE come quelli previsti nel territorio albanese.
Un colpo politico alla linea di Meloni
Il pronunciamento della Corte di Giustizia dell’UE si traduce in un colpo significativo per la strategia migratoria del governo Meloni. La sentenza, vincolante per i tribunali nazionali, ridimensiona fortemente le ambizioni di esternalizzazione delle procedure di asilo e rimpatrio, riaffermando il ruolo centrale della tutela giurisdizionale e della protezione dei diritti umani.
In un contesto segnato dal dibattito sul nuovo Patto europeo su migrazione e asilo, atteso per il prossimo anno, la decisione della Corte riporta il discorso su un binario giuridico più rigoroso, limitando le possibilità di deroghe o forzature da parte degli Stati membri.
Con questa sentenza, l’Europa ricorda all’Italia — e a tutti gli Stati membri — che il diritto dell’Unione prevale sulle logiche di emergenza e che, anche in tema di gestione delle migrazioni, i diritti fondamentali non sono negoziabili.