
Il conto è salato, e rischia di pesare come un’opera pubblica colossale. Secondo una stima dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, i nuovi dazi al 15% imposti dagli Stati Uniti contro l’Unione europea potrebbero generare perdite per l’Italia comprese tra i 14 e i 15 miliardi di euro all’anno. È un danno economico che – sottolinea l’associazione – “equivale al costo del ponte sullo Stretto di Messina”, una delle infrastrutture più costose mai progettate nel nostro Paese.
Le nuove tariffe entreranno in vigore il prossimo 7 agosto, ma si attende ancora la pubblicazione della lista definitiva dei prodotti esentati, che potrebbe ridurre almeno parzialmente l’impatto.
Colpito anche il Made in Italy di fascia alta
L’analisi della Cgia non si limita agli effetti diretti sulle esportazioni, ma tiene conto anche di quelli indiretti: perdita di margine per le imprese che resteranno sul mercato americano, misure di sostegno al reddito per i lavoratori coinvolti, e persino un possibile trasferimento di produzioni verso gli Usa per aggirare i dazi. A tutto questo si aggiunge il peso della svalutazione del dollaro sull’euro, che penalizza ulteriormente il nostro export.
Eppure, malgrado la stima sia allarmante, l’associazione mostra un certo grado di fiducia nella resilienza del Made in Italy, anche grazie alla sua forte specializzazione nell’export di alta qualità. Secondo i dati della Banca d’Italia, il 92% delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti riguarda prodotti di fascia medio-alta o alta, spesso destinati a clienti ad alto reddito meno sensibili a un aumento dei prezzi.
Margini più stretti, ma domanda stabile
Nel 2024, rispetto all’anno precedente, l’Italia ha registrato una flessione del 3,6% nelle vendite verso gli Usa, pari a -2,4 miliardi di euro, ma il volume complessivo resta elevato: 64,7 miliardi di euro. La Cgia osserva che, in molti casi, le aziende italiane potranno assorbire il colpo riducendo i propri margini di profitto, mantenendo così stabile la domanda.
Resta però l’incognita legata alle scelte della Casa Bianca, soprattutto in vista della scadenza elettorale, e alla capacità dell’Unione europea di reagire in modo compatto a quella che si profila come una nuova stagione di protezionismo commerciale.