
Non è facile affrontare una perdita così inaspettata. Un evento che spezza la quotidianità, che lascia un vuoto profondo e un senso di smarrimento. Quando un collega, una figura che ha condiviso con noi gli spazi e i ritmi del lavoro, se ne va improvvisamente, si percepisce non solo la mancanza professionale ma anche, e forse soprattutto, quella umana. I pensieri si affollano, i ricordi riemergono, e si cerca un modo per dare un senso a qualcosa che, per sua natura, ne è privo.
Il dolore si fa strada in modi diversi. Per alcuni, è l’incredulità, la fatica di accettare una realtà così dura. Per altri, è una tristezza silenziosa, un peso che si posa sul cuore e che rende difficile ogni azione. Tutti però condividiamo la sensazione di un’ingiustizia, di un tempo rubato, di parole non dette. L’assenza di una persona che ha lasciato un segno, con le sue idee, le sue pause, i suoi sogni, diventa un silenzio assordante. E in questo silenzio, ogni piccolo gesto, ogni abitudine, ogni ricordo condiviso assume un valore enorme, quasi un rifugio.
La scomparsa improvvisa di Mauro Del Corno
La notizia della scomparsa di Mauro Del Corno, a soli 53 anni, ha scosso profondamente chi lo conosceva e gli voleva bene. Si trovava in vacanza a Samarcanda con la sua compagna Valeria e il figlio Alessandro, quando un destino crudele e inatteso ha messo fine alla sua vita. Per i suoi colleghi del Fatto Quotidiano, dove era arrivato nel 2020 dopo una lunga esperienza a Radio24, la sua perdita rappresenta un vuoto incolmabile, non solo professionale. La sua figura di giornalista economico era unica, anticonvenzionale, caratterizzata da un profondo senso etico e da una critica costante alle ingiustizie del capitalismo e alle distorsioni della grande finanza. Mauro non credeva alla neutralità delle parole e lo dimostrava con ogni suo articolo.

Il ricordo dei colleghi: uno sguardo sul professionista e sull’uomo
I colleghi hanno voluto ricordare Mauro con parole toccanti, che ne delineano un ritratto vivido e complesso. Simone Ceriotti ha sottolineato il suo modo sornione e pacato di proporre i temi da trattare, con quelle pause che lasciavano spazio alla riflessione, un tratto distintivo che contrastava con i ritmi frenetici del giornalismo. Le sue idee erano radicate, ma sapeva trasformarle in proposte giornalistiche efficaci. Pierluigi Giordano Cardone ha parlato del suo saluto serale, un rito che era diventato parte della routine della redazione. Mauro era fuori dagli schemi, con un’espressione che nascondeva un’etica granitica. A lui deve l’insegnamento che su certe cose non ci sono mezze misure. La loro chat di Whatsapp era un porto franco dove potevano parlare di tutto, un nascondiglio dove confessarsi piccole cose, come aver rubato un pezzo del suo immancabile cioccolato fondente.
Fabio Amato ha raccontato un’altra sfaccettatura di Mauro, quella del suo modo di usare le parole e i silenzi. Mauro lasciava un sacco di spazi, un contrasto perfetto con il redattore ossessionato dalla forma. Preferiva un rigore di altro tipo: morale, argomentativo, etico. La sua morte ha lasciato un vuoto ancora più grande. Amato ha ricordato i loro scambi, un mix di “cazzeggio”, sfuriate e discorsi sui massimi sistemi. Alberto Marzocchi ha descritto la difficoltà di accettare la perdita, rivolgendosi direttamente a lui, con la speranza che rimanga una traccia. Ha scelto di tenere un suo fermacarte a forma di surf, un simbolo di ciò che hanno condiviso. Giovanna Trinchella ha rievocato il loro rapporto fatto di confronti duri sulla politica estera, ma anche di litigi bonari sulle sue passioni, come le ballerine o il suo piatto di pasta. Un dolore inatteso e soffocante.
Eleonora Bianchini ha riportato alla mente il rito di Mauro che spulciava nella mazzetta dei giornali, trasformando ogni occasione in un manifesto anticapitalista. Diceva di occuparsi solo di calciomercato, ma tornava sempre a scrivere di economia, trovando tagli originali e inaspettati. Monica Belgeri ha ricordato il suo sguardo limpido, la sua gentilezza e la sua riservatezza. Un addio così inatteso ha lasciato tutti sgomenti. Ma il ritratto più intimo e profondo è quello tracciato da Gisella Ruccia. Lei lo definisce una luce, la quintessenza della libertà silenziosa che fa rumore. Un vicino di scrivania, un punto di riferimento, una bussola. Ha parlato della sua forza quieta nella dedizione alla causa palestinese, della sua presenza costante alle manifestazioni pro Gaza. Era un giornalista pieno, integerrimo, che andava ovunque con intelligenza e passione. Non si prendeva sul serio, ma era serissimo nel suo lavoro. L’ultima volta che l’ha visto, prima della sua partenza, le ha regalato il suo sorriso largo e disarmante, un’immagine che resterà per sempre. Andrea Tundo ha infine riassunto la sua essenza attraverso piccoli dettagli: la pila di libri, la kefiah, i tweet graffianti, il suo perenne “normalizzare le notizie”, il grido una volta per la sua amata pallanuoto. E quel saluto ironico e affettuoso, “Ciao Boss”, che ora i colleghi dicono a lui, con un’amara consapevolezza. Mauro ha lasciato un vuoto, ma ha anche lasciato un’eredità fatta di etica, passione e un modo di stare al mondo che non si può dimenticare.