
Che le AI generative stiano cambiando il mondo è un dato acquisito. Che lo stiano facendo a una velocità tale da sconvolgere i pilastri di Internet com’è nato e cresciuto negli ultimi trent’anni, è oggi materia d’analisi urgente. E inquietante.
In un articolo pubblicato su Italia Oggi, Mauro Masi, già direttore generale della Rai e osservatore lucido delle derive tecnologiche, firma una riflessione che va dritta al punto: “L’intelligenza artificiale sta uccidendo Internet”.
Una provocazione? Solo in apparenza. Perché ChatGPT e i suoi simili non stanno solo rispondendo a domande. Stanno rendendo obsoleti i motori di ricerca, e con essi l’intero ecosistema dei siti web. Perché cliccare, se ho la risposta subito?
I numeri che raccontano il declino della Rete
Secondo Masi, dal lancio di ChatGPT nel novembre 2022, l’impatto sulla rete tradizionale è stato immediato e profondo. Il traffico dei motori di ricerca si è ridotto del 15% nel 2024, con proiezioni che parlano di un crollo fino al 30% su base annua per il 2025. E Wikipedia, simbolo della conoscenza condivisa, ha già registrato un calo dell’8% degli accessi lo scorso anno.
Meno accessi significa meno pubblicità, quindi meno entrate, e una corsa disperata a nuove fonti di finanziamento. Il sistema classico della rete, fondato sul “clicca qui per sapere di più”, non regge più il passo con un’interazione diretta, conversazionale, “umana” e soprattutto istantanea con l’utente.

Le due strade: innovazione o deriva?
Masi intravede due scenari. Il primo, ottimistico, parla di una trasformazione virtuosa: la crisi degli introiti tradizionali potrebbe spingere le aziende del web verso nuovi modelli di business, magari più creativi, meno invasivi, e capaci di stimolare una nuova fase di crescita per la Rete. In sintesi: il crollo della vecchia Internet potrebbe generare una Internet 3.0, ibridata e rinnovata.
Ma esiste anche un secondo scenario, più cupo: quello in cui la ricerca di profitti si spinge nei territori oscuri del dark web, lì dove la pubblicità non paga, ma pagano altri: traffici, dati, manipolazione. Una deriva etica e strutturale, con rischi sistemici reali. Per non parlare della perdita violenta di posti e opportunità di lavoro umano, che diventerà presto il principale problema per l’umanità.
Il copyright? Una diga illusoria
Tra i fautori del freno normativo, qualcuno spera ancora nel copyright come barriera difensiva. Ma qui Masi è categorico: “Francamente, non ci spererei molto. La storia dell’industria musicale, da Napster in poi, insegna”. Come dire: le regole arrivano sempre in ritardo, e spesso servono solo a sanzionare ciò che è già diventato pratica comune.
Del resto, come fermare l’evoluzione tecnico-scientifica, sociale e culturale che l’AI sta rappresentando? L’AI è Edipo, scrive Masi: ha ucciso il padre (Internet) e non sa ancora che fine farà la madre (la cultura digitale). Ma, a quanto pare, la tragedia è dietro l’angolo.