
Sono passati quattro lunghi anni, ma le famiglie di Mickey e Tommy, i due bambini morti nel crollo del tetto di una ghiacciaia a Sant’Anna d’Alfaedo, non hanno ancora ottenuto risposte. Ora temono che, con l’arrivo di agosto, l’inchiesta si fermi ancora una volta. «Speriamo che le indagini non vengano archiviate, altrimenti sarà come uccidere una seconda volta i nostri figli», dice con voce spezzata Andrea Saggioro, padre di Tommaso. Il figlio morì il 3 luglio 2021, insieme all’amico del cuore Michele Mazzucato, mentre giocavano sopra quella struttura crollata all’improvviso.
I due bambini, nati a pochi giorni di distanza nel dicembre 2013, erano saliti sul tetto della ghiacciaia, mimetizzato tra i sassi e nascosto dall’erba alta. Il cedimento fu improvviso e fatale. In quel tragico pomeriggio altri due bimbi rimasero feriti. Le famiglie coinvolte chiedono chiarezza e giustizia, stanche di attese e silenzi.
Otto indagati ma ancora nessuna verità

L’inchiesta della Procura di Verona, avviata dal pubblico ministero Paolo Sachar, aveva inizialmente individuato un solo indagato: Augusto Ceradini, comproprietario del terreno dove si trovava la ghiacciaia. Ma successivamente, grazie a nuovi accertamenti richiesti dal giudice per le indagini preliminari, sono stati iscritti nel registro degli indagati altri sette comproprietari dell’area. Nonostante ciò, nessuna decisione definitiva è ancora arrivata.
Più di un anno fa, la Procura aveva avanzato la richiesta di archiviazione, ma i genitori dei bambini si erano opposti con fermezza. La giudice Livia Magri aveva allora chiesto ulteriori approfondimenti, stabilendo un termine di cinque mesi per nuove indagini. Un tempo abbondantemente superato. «È passato più di un anno e ancora non sappiamo nulla», denuncia papà Andrea.
«Bastava un cartello per salvarli»

Secondo i genitori, l’assenza totale di segnalazioni sulla pericolosità della ghiacciaia avrebbe avuto un ruolo decisivo. Né una recinzione né un cartello, nulla che potesse avvisare del pericolo. «I nostri figli non sarebbero mai saliti lì sopra se avessero capito che era una costruzione», racconta Mattia Mazzucato, padre di Mickey. Il tetto della ghiacciaia, alto appena 20 centimetri dal suolo, si confondeva perfettamente con il paesaggio circostante.
Ceradini avrebbe riferito verbalmente della presenza della struttura pericolante, ma né il Comune né il Parco della Lessinia hanno confermato di aver ricevuto alcuna comunicazione ufficiale. «Con un filo, una rete rossa, qualcosa… sarebbe bastato poco per evitare la tragedia», aggiunge Andrea, ricordando come anche i genitori, quel giorno, non avessero notato alcun pericolo evidente.
«Non vogliamo colpevoli a ogni costo, ma verità»
Ora le famiglie chiedono che l’inchiesta venga portata a termine con serietà. Non cercano un capro espiatorio, ma chiarezza. «Non puntiamo il dito contro nessuno, ma abbiamo il diritto di sapere cosa è successo davvero», afferma papà Mattia. E conclude con parole che lasciano trasparire una forza dolorosa ma dignitosa: «Se dovesse emergere che abbiamo una responsabilità anche noi, ce la assumeremo. Non possiamo riportare indietro i nostri figli, ma almeno possiamo dare un senso alla loro morte».
Le famiglie ora attendono con ansia e speranza una risposta dopo l’estate. Ma per loro, il tempo fermo dell’inchiesta è già un’altra ferita aperta.