
La storia degli airbag difettosi prodotti dalla Takata tra il 2009 e il 2019 è una vicenda complessa e ancora in evoluzione, che continua a mietere vittime e a tenere in scacco l’industria automobilistica. Nonostante la Takata sia fallita nel 2017, le conseguenze dei suoi prodotti difettosi si fanno ancora sentire in tutto il mondo, con milioni di veicoli a rischio e proprietari preoccupati.
Un problema fatale
Il cuore del problema risiede nell’utilizzo del nitrato di ammonio come propellente per gonfiare gli airbag. Questo composto chimico, sebbene economico e compatto, si è rivelato instabile in determinate condizioni di umidità e temperatura, portando a esplosioni violente anziché a un gonfiaggio controllato. In caso di incidente, l’airbag, invece di salvare la vita, si trasforma in un’arma letale, lanciando frammenti di metallo contro il conducente e i passeggeri. Il bilancio è drammatico, con decine di morti e centinaia di feriti a livello globale.
Richiami massicci e risposte divergenti
Di fronte alla gravità della situazione, le case automobilistiche hanno avviato massicci richiami dei veicoli a partire dal 2013 per sostituire gli airbag difettosi. L’ultimo, e forse il più clamoroso, ha coinvolto la Citroën lo scorso giugno, quando un incidente in Francia ha spinto il gruppo Stellantis a bloccare 441.000 esemplari di C3 e DS3 circolanti in Europa, vietandone la circolazione fino alla sostituzione dell’airbag.
Tuttavia, la gestione del problema non è stata uniforme. L’associazione a tutela dei consumatori Altroconsumo ha denunciato la condotta di Opel, anch’essa parte del gruppo Stellantis. Sebbene i proprietari di modelli come Corsa, Astra, Meriva, Zafira e Mokka abbiano ricevuto lettere di richiamo, queste sarebbero state formulate come un “semplice invito”, non sottolineando l’urgenza e la pericolosità del problema. A differenza di Citroën, Opel non ha imposto un divieto di circolazione, non ha offerto auto sostitutive e ha comunicato tempi di attesa per la sostituzione degli airbag che possono superare i 90 giorni.

La battaglia di Altroconsumo e il ruolo dei consumatori
Questa risposta “disomogenea” ha spinto Altroconsumo a prendere una posizione forte. L’associazione non solo ha denunciato pubblicamente la condotta di Opel, ma ha anche proposto una class action contro l’azienda, simile a quella già intentata contro Citroën. L’obiettivo è duplice: aumentare la consapevolezza tra i proprietari di veicoli Opel a rischio e spingerli a reclamare i propri diritti, e allo stesso tempo costringere l’azienda a intervenire in modo deciso e immediato.
La battaglia, però, non riguarda solo le associazioni. I consumatori hanno un ruolo cruciale. La verifica della propria auto è fondamentale. Per aiutare i proprietari, il sito web della transizione ecologica francese ha messo a disposizione un database per controllare se il proprio veicolo è coinvolto in campagne di richiamo. Il codice VIN (numero di telaio) della propria auto è la chiave per sapere se si è a rischio e, di conseguenza, agire prontamente.