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Shock in Italia: accuse di violenza su una bimba di 9 anni, il gesto estremo prima della sentenza

Pubblicato: 05/08/2025 15:38

La drammatica conclusione di una vicenda giudiziaria ha scosso Udine, dove un uomo di 52 anni, imputato per abusi sessuali sulla nipote, si è tolto la vita poco prima della sentenza. La notizia, riportata dal Messaggero Veneto, chiude in modo tragico un processo che aveva portato alla luce una storia di violenza e sofferenza durata anni.

L’imputato era atteso in aula l’11 settembre per la discussione finale, ma la sua morte ha reso superfluo ogni ulteriore procedimento, portando all’estinzione del reato e alla conseguente impossibilità di raggiungere una verità giudiziaria. La vittima, la cui battaglia per ottenere giustizia si è interrotta bruscamente, resta ora con l’amarezza di non aver potuto vedere il riconoscimento ufficiale delle sue sofferenze.

Il peso dell’accusa

Il processo era incentrato su accuse gravissime. Secondo la procura, i primi abusi sarebbero avvenuti tra il 2009 e il 2010, quando la nipote aveva solo 9 anni. La bambina, durante i pranzi di famiglia, sarebbe stata molestata almeno 30 volte. Un trauma che l’ha accompagnata per tutta l’infanzia e che si è ripresentato dieci anni dopo, quando l’uomo avrebbe nuovamente abusato di lei, ormai maggiorenne. A quel punto, la giovane ha trovato il coraggio di denunciare, assistita dall’avvocato Riccardo Prisciano, dando inizio a un lungo e doloroso percorso giudiziario. Il processo non solo ha messo in luce la presunta colpevolezza dell’imputato, ma ha anche aperto una ferita ancora più profonda.

Un’altra testimonianza sconvolgente

Durante il dibattimento, l’eco delle violenze si è allargato in modo inaspettato. Una delle sorelle dell’imputato, convocata a testimoniare in sua difesa, ha fornito una testimonianza che ha ribaltato completamente le aspettative. La donna ha infatti dichiarato di essere stata a sua volta vittima di abusi da parte del fratello quando aveva appena 9 anni. Una rivelazione scioccante che ha aggiunto un ulteriore strato di orrore alla vicenda, mostrando un modello di comportamento che si sarebbe ripetuto nel tempo, con un tragico e prevedibile schema di violenza familiare. Questa nuova testimonianza ha reso ancora più evidente la portata del dramma che si stava discutendo in tribunale.

Il dolore e la giustizia mancata

La morte dell’imputato ha avuto un impatto devastante non solo sulla famiglia, ma anche sul piano giudiziario. La formalizzazione del non luogo a procedere per l’estinzione del reato è una conclusione tecnica, ma lascia irrisolto il bisogno di giustizia della vittima. L’avvocato Prisciano ha espresso al Messaggero Veneto la sua profonda amarezza, sottolineando come la morte dell’imputato abbia impedito di raggiungere una verità processuale. Le parole del legale riflettono il sentimento di impotenza di fronte a una conclusione così repentina e definitiva, che nega alla giovane donna la possibilità di ottenere un riconoscimento formale delle sue sofferenze. La sua battaglia per la giustizia si è interrotta in un modo che le ha negato la chiusura, lasciandola con il peso di un dolore non ancora pienamente riconosciuto. La vicenda si conclude, quindi, con un silenzio assordante, privando la vittima e l’intera comunità di una risposta definitiva.

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