Vai al contenuto

Inchiesta Almasri, il piano di Meloni: garantire l’immunità ai ministri

Pubblicato: 06/08/2025 07:56

Il timore di ritorsioni contro cittadini italiani e interessi economici in Libia ha spinto il governo a scarcerare Osama Almasri, ex torturatore della Rada Force libica arrestato a Torino e ricercato dalla Corte penale internazionale. È quanto emerge dalle 91 pagine del documento con cui il tribunale dei ministri chiede l’autorizzazione a procedere contro tre esponenti dell’esecutivo: Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza, Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno, e Carlo Nordio, ministro della Giustizia.

La ricostruzione parte da un vertice riservato tenutosi a Palazzo Chigi il 19 gennaio, poche ore dopo l’arresto di Almasri. A raccontarlo è il capo dell’Aise, Giovanni Caravelli, che rivela ai magistrati la partecipazione di diversi vertici istituzionali: oltre a lui, c’erano Mantovano, Piantedosi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il capo della Polizia Vittorio Pisani e il direttore del Dis, prefetto Rizzi. Nordio non era presente.

La paura della rappresaglia e il caso Eni

Durante la videoconferenza, Caravelli riferisce di preoccupazioni concrete per i 500 italiani presenti in Libia e per gli interessi strategici sul territorio, in particolare lo stabilimento Eni a Mellitah, gestito con la National Oil libica. Secondo il documento, la Rada Force avrebbe potuto eseguire fermi e perquisizioni ai danni di italiani sul suolo libico, come rappresaglia per l’arresto di Almasri. A sostegno della tesi, Caravelli cita il precedente di Cecilia Sala, giornalista italiana arrestata in Iran.

Questa valutazione diventa, secondo il tribunale, la motivazione reale e inconfessata della liberazione del detenuto. Nonostante le smentite ufficiali, con Piantedosi che in Parlamento aveva negato “nella maniera più categorica” ogni forma di pressione esterna, le carte giudiziarie raccontano una realtà diversa. “Appare verosimile che l’effettiva e inespressa motivazione degli atti sia da rinvenirsi nelle preoccupazioni palesate”, scrivono i giudici.

Il ruolo di Nordio e l’uso dell’aereo di Stato

Le responsabilità del Guardasigilli si intrecciano con quelle del suo ufficio. Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto, pur non essendo indagata viene accusata di aver mentito ai magistrati, sostenendo di non aver fatto leggere a Nordio un atto cruciale. Ma secondo i giudici, Nordio sapeva e ha scelto un “silenzio indebito”, pur consapevole di non avere alcuna discrezionalità sull’esecuzione del mandato della Corte penale internazionale.

A rafforzare la tesi dell’elusione della giustizia è l’uso illecito dell’aereo di Stato, disposto senza alcuna reale esigenza di sicurezza. “I collegamenti aerei con la Libia erano garantiti da compagnie commerciali”, ricordano i magistrati, e comunque “qualunque aereo avesse riportato Almasri in patria sarebbe stato accolto con festeggiamenti”, come poi è avvenuto.

Infine, la giustificazione legata alla doppia richiesta di estradizione — da parte della Libia e della Corte penale — è stata smontata: la richiesta libica è infatti arrivata solo dopo l’espulsione. Per il tribunale, non esistevano basi legali per il rimpatrio e l’intera operazione è stata messa in atto per motivi politici non dichiarati.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Ultimo Aggiornamento: 06/08/2025 10:25

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure