
Il caso Garlasco torna al centro dell’attenzione pubblica, riaccendendo il dibattito su uno dei delitti più discussi degli ultimi vent’anni in Italia. Durante la recente puntata di “Filorosso”, il tragico omicidio di Chiara Poggi, avvenuto nell’agosto 2007 e per il quale Alberto Stasi è stato condannato in via definitiva, ha ricevuto nuova luce grazie ai tanti interrogativi sollevati. Oggi, con una nuova inchiesta della Procura di Pavia che coinvolge Andrea Sempio e una serie di perizie tecniche, il caso sembra vivere un’altra stagione di incertezza e attenzione mediatica.
Continua il mistero: nuove testimonianze e colpi di scena scuotono gli equilibri
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In questa cornice interviene Luciano Garofano, ex comandante del Ris di Parma e oggi consulente della difesa di Sempio, portando la sua autorevolezza su uno dei punti più discussi: il cosiddetto “dna fantasma”. Garofano spegne le suggestioni attorno a questo profilo genetico mai identificato, spesso evocato dai media: “Credo che sia una delle tante suggestioni che in questi ultimi mesi sono state cavalcate da più di qualcuno”, ha dichiarato, negando con decisione l’esistenza di questo dna misterioso. E aggiunge: “Se ci fosse stato già allora, sarebbe stato un elemento di grandissimo valore ai fini investigativi”.

Impronta 33 e analisi tecniche: tra precisione e dubbi
Un altro tema centrale affrontato da Garofano riguarda la famosa impronta 33. Secondo una perizia della difesa di Stasi, questa impronta sarebbe riconducibile proprio ad Andrea Sempio. Tuttavia, Garofano sottolinea la poca affidabilità dovuta alla qualità delle fotografie utilizzate: “Dipende dalla qualità dell’impronta, in questo caso della fotografia. Siccome si è partiti da una fotografia, il dato importante è che le minuzie siano obiettivamente riconoscibili. Noi non le abbiamo trovate”, spiega. Precisa poi: “Quella macchia era di sudore, di qualcosa che non aveva nessuna corrispondenza con il sangue”. Un chiarimento tecnico che ridimensiona molte ipotesi alternative sulla scena del crimine.

L’arma del delitto: ipotesi e conferme dagli esperti
Garofano si sofferma anche su un punto da sempre centrale: l’arma del delitto. La sua analisi coincide con quella del dottor Testi, secondo cui le ferite, comprese quelle alle palpebre, sarebbero compatibili con un solo strumento: “L’ipotesi più attendibile è di un solo strumento e che quelle ferite sulle palpebre sarebbero state provocate dallo stesso strumento. Il dottor Testi poi ipotizza un martello utilizzato di taglio”. Un’ipotesi già esaminata in passato, ma che oggi torna ad essere discussa alla luce delle nuove attenzioni mediatiche.

Nuove tecnologie investigative: tra opportunità e rischi
Non manca l’invito alla prudenza da parte di Garofano riguardo l’uso delle nuove tecnologie investigative sui reperti datati di 18 anni: “Diciotto anni sono un termine temporale in cui le cose sono cambiate notevolmente, per cui ragionare oggi con le possibilità di oggi rispetto ai risultati di ieri può essere fuorviante”. Il timore è che si rischi di riscrivere arbitrariamente una storia già giudicata, dimenticando i punti fermi emersi durante il lungo percorso giudiziario.
Conclusioni e monito finale: equilibrio tra ricerca della verità e rispetto delle sentenze
Le parole finali di Garofano sono un appello a chi si avvicina al caso con troppo fervore mediatico o con la tentazione di rimettere tutto in discussione: “Tutto quello che sta emergendo spero non faccia altro che confermare ciò che è stato deciso nella sentenza che ha visto poi la condanna di Alberto Stasi. Perché sembra che adesso tutto quello che è stato stabilito venga terribilmente banalizzato. C’è un riferimento, discutiamone criticamente, facciamo altre analisi. Però non possiamo cancellarlo, perché altrimenti è tutto discutibile e si crea soltanto tanta confusione”. Un richiamo a non lasciarsi travolgere dalla ricerca di una “verità alternativa” che rischia di alimentare solo smarrimento e incertezza.