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Netanyahu verso l’occupazione totale di Gaza, ma l’esercito frena: “Rischio catastrofe”

Pubblicato: 06/08/2025 17:12

In una delle fasi più delicate e drammatiche del conflitto in corso a Gaza, il premier israeliano Benjamin Netanyahu si prepara a decidere sull’occupazione totale della Striscia, mentre crescono le tensioni all’interno dello stesso establishment israeliano. Una frattura che coinvolge direttamente i vertici dell’Idf, le forze di difesa israeliane.

L’espansione militare totale

In molti infatti nell’esercito sono contrari all’estensione delle operazioni militari verso le zone centrali e urbane, in particolare Gaza City, dove secondo l’intelligence si troverebbero venti ostaggi ancora vivi e la maggior parte della popolazione sfollata. Il nodo strategico è cruciale.

L’espansione militare totale, invocata da Netanyahu e discussa in una riunione ristretta con i ministri Dermer e Katz e il capo di Stato Maggiore Zamir, è vista da quest’ultimo come un azzardo eccessivo: i rischi per gli ostaggi, per i militari e per la popolazione civile sarebbero insostenibili. Ma il messaggio proveniente dall’ufficio del premier è stato chiaro: “L’esercito seguirà i comandi”. Anche se non li condivide.

Pressioni internazionali e crisi umanitaria

In questo scenario, le Nazioni Unite lanciano un monito drammatico: un’occupazione totale della Striscia avrebbe “conseguenze catastrofiche” per milioni di palestinesi già allo stremo. Ma la catastrofe è già in corso, come dimostrano le notizie arrivate nelle ultime ore: diciotto persone sono morte nei raid israeliani su Gaza, tra cui tre civili nel quartiere Zeitoun, evacuato senza preavviso.

I colpi hanno raggiunto nuovamente anche l’area della chiesa della Sacra Famiglia, dove il parroco padre Gabriel Romanelli ha confermato che “stiamo bene, preghiamo per la pace”. Intanto, il controllo militare israeliano copre attualmente circa il 75% del territorio della Striscia. Le aree centrali, ancora fuori dal dominio diretto di Tel Aviv, rappresentano l’ultimo nodo di resistenza e ospitano la più ampia concentrazione di civili e rifugiati.

La fame come arma del conflitto

La crisi alimentare a Gaza raggiunge nuovi picchi di disperazione. Cinque persone sono morte di fame secondo la protezione civile locale, mentre un camion di aiuti si è ribaltato nel cuore della notte su una strada dissestata, provocando venti vittime e decine di feriti tra chi cercava disperatamente di salire a bordo. Secondo le autorità palestinesi, Israele obbliga i convogli a utilizzare percorsi non sicuri, impedendo un accesso regolare agli aiuti.

Il caos nella distribuzione ha provocato anche la reazione della Giordania, che accusa l’esercito israeliano di non aver protetto i propri convogli umanitari dopo il secondo assalto subito in pochi giorni. Sullo sfondo, la pressione cresce anche da parte degli Stati Uniti: secondo quanto riportato da Axios, Donald Trump, in vista di una possibile nuova candidatura, starebbe valutando di rimuovere Israele dalla gestione diretta degli aiuti per presunta inefficienza.

Il rischio, ormai evidente, è che le scelte unilaterali rompano l’equilibrio interno tra le istituzioni israeliane, isolino Tel Aviv sul piano internazionale e alimentino una crisi umanitaria senza precedenti. Ma la politica del “senza ritorno” sembra prevalere. E Netanyahu, stretto tra l’urgenza di un successo militare e la fronda interna, si gioca il tutto per tutto.

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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2025 19:22

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