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Caso Almasri, spunta il documento segreto: la scoperta scioccante

Pubblicato: 07/08/2025 10:27

Il caso di Abdelhakim Belhadj Almasri, il libico coinvolto in crimini di tortura, continua a sollevare dubbi e polemiche riguardo alla gestione del suo arresto e successiva scarcerazione. Una delle questioni centrali riguarda la gestione degli atti da parte del Ministero della Giustizia, che avrebbe dovuto inviare il mandato di arresto alla Procura e alla Corte d’Appello di Roma. Secondo il documento messo a disposizione della Capa di Gabinetto Giusi Bartolozzi, gli uffici del Ministero avevano preparato la bozza per evitare la scarcerazione, ma il mandato non è mai stato inviato in tempo.

La bozza preparata e la risposta di Bartolozzi

«Se il ministro avesse ritenuto di trasmettere gli atti alla procura generale», spiega una delle dirigenti del Ministero, «la Corte d’appello avrebbe potuto non convalidare l’arresto ma applicare la misura cautelare, evitando così la liberazione». Tuttavia, nonostante il piano fosse già pronto, la Bartolozzi ha risposto: «È una valutazione complessa, c’è un’interlocuzione anche con altri ministri». Questa dichiarazione sottolinea la lunga discussione interna che ha portato a un processo decisionale incerto. Alla fine, l’errore si è materializzato nella mancata trasmissione tempestiva dei documenti necessari.

Una delle principali bugie emerse nelle indagini riguarda la richiesta di estradizione dalla Libia. La Procura ha indicato che la richiesta di estradizione è stata un motivo giustificativo per la scarcerazione di Almasri. «La richiesta è stata protocollata il 22 gennaio, quando Almasri era già stato rimpatriato», dichiarano i magistrati, smontando così la versione ufficiale. L’Italia ha cercato di giustificare la liberazione, ma la realtà è che la richiesta di estradizione era «priva di qualsiasi documento giustificativo», e quindi non avrebbe potuto essere presa in considerazione.

L’Italia e il blocco delle indagini internazionali

Un altro aspetto grave della vicenda è che le indagini della Corte Penale Internazionale (CPI) sono state ostacolate non solo dalla scarcerazione, ma anche dalla non restituzione dei dispositivi sequestrati. Nonostante la richiesta ufficiale da parte della CPI, l’Italia ha restituito a Almasri tutti gli oggetti sequestrati, inclusi documenti, carte di credito, telefoni e SIM, senza inviarli alla Corte. Questo gesto ha impedito agli investigatori di esaminare i dispositivi e raccogliere prove cruciali per l’inchiesta, disperdendo fonti di prova fondamentali per i procedimenti legali in corso contro altri criminali libici.

La gestione di questo caso ha sollevato enormi polemiche sia in ambito giuridico che politico, con molte persone che accusano il governo italiano di non aver fatto il possibile per perseguire la giustizia. La CPI si trova ora in una posizione difficile, con l’Italia che ha impedito l’accesso a prove vitali per i suoi procedimenti. Questo incidente solleva seri interrogativi sull’efficacia e l’affidabilità dei meccanismi di giustizia internazionale, e sulla protezione degli interessi nazionali in contesti globali delicati.

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