Vai al contenuto

Sta per donare gli organi quando accade l’impensabile: shock in sala operatoria

Pubblicato: 07/08/2025 15:53

Il caso di Danella Gallegos, una senzatetto di 38 anni ricoverata in coma all’ospedale Presbyterian di Albuquerque, in New Mexico, ha sollevato un’ombra inquietante sul sistema di donazione degli organi negli Stati Uniti.

La donna, dichiarata senza speranze dai medici, era stata preparata per il prelievo degli organi con il consenso della sua famiglia. Ma proprio nel momento cruciale, poco prima che l’intervento avesse inizio, è accaduto l’inaspettato.

Cos’è successo a Danella

Danella ha aperto gli occhi, li ha riempiti di lacrime e ha risposto a una semplice richiesta sbattendo le palpebre. I medici, attoniti, si sono fermati. Nonostante l’insistenza dei coordinatori del New Mexico Donor Services nel voler procedere, etichettando i movimenti della donna come “semplici riflessi”, lo staff medico si è rifiutato e ha fermato l’operazione, salvando di fatto la vita di Danella. La sua incredibile storia, raccontata in una lunga inchiesta del New York Times, è diventata il simbolo di un sistema sotto pressione, dove il confine tra vita e morte si fa drammaticamente sottile e gli interessi delle organizzazioni per i trapianti sembrano talvolta superare l’etica medica. Oggi, Danella è viva e ha denunciato l’accaduto, dichiarando al New York Times: “Mi sento fortunata, ma è assurdo pensare quanto poco ci sia mancato perché tutto finisse diversamente”.

La corsa contro il tempo e la pressione per gli organi

Il caso di Danella non è, purtroppo, un’eccezione isolata, ma si inserisce in un contesto di crescente pressione e tensione. Negli Stati Uniti, oltre 103.000 persone sono in lista d’attesa per un trapianto e, ogni giorno, 13 pazienti muoiono in attesa di un organo. La posta in gioco è altissima: un singolo donatore può salvare fino a otto vite e migliorare quella di altre 75. Questi numeri, pur nella loro nobiltà, creano una spinta a “correre” che a volte può portare a situazioni estreme. Infermieri e medici, che hanno parlato anonimamente con il New York Times, hanno descritto un ambiente in cui le organizzazioni che si occupano di trapianti esercitano pressioni quasi ossessive, con telefonate insistenti e tentativi di convincere il personale ospedaliero che un paziente è “pronto” per la donazione anche quando non lo è. Un’infermiera della terapia intensiva del Presbyterian Hospital ha dichiarato senza mezzi termini: “A loro interessa solo ottenere organi“. Queste affermazioni, pur smentite dal New Mexico Donor Services, che sostiene di non partecipare alle decisioni cliniche, descrivono una realtà in cui la necessità di salvare vite si scontra con il rischio di compiere errori irreversibili.

Donazione dopo morte circolatoria: un confine incerto

Negli ultimi anni, una pratica medica sempre più diffusa negli Stati Uniti è la donazione dopo morte circolatoria. Questa procedura, che rappresenta ormai circa un terzo di tutte le donazioni, riguarda pazienti che non sono cerebralmente morti, ma si trovano in uno stato di coma e dipendono dalle macchine per il supporto vitale. La procedura prevede che, una volta che i medici abbiano stabilito che non ci sono possibilità di recupero, il respiratore venga spento. Se il cuore del paziente si ferma entro due ore, i suoi organi sono considerati idonei per il trapianto. È evidente come questa pratica sollevi questioni etiche complesse e lasci margini d’errore drammaticamente sottili, come dimostra non solo il caso di Danella Gallegos, ma anche quello di Misty Hawkins, un’altra storia inclusa nell’inchiesta del New York Times. In questi scenari, il momento esatto della morte diventa una linea sfumata, soggetta a interpretazioni e alla pressione di una domanda di organi che supera di gran lunga l’offerta. La distinzione tra un paziente che potrebbe riprendersi e uno che non lo farà mai si basa su parametri clinici complessi e, come dimostra la storia di Danella, non infallibili.

Le conseguenze di un sistema sotto pressione

Il racconto di Danella Gallegos ha costretto a interrogarsi sulle vulnerabilità di un sistema che, sebbene mosso da un’intenzione nobile, può essere distorto da una richiesta di organi così massiccia. La sua denuncia al Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) non riguarda solo un errore medico, ma mette in discussione la supervisione e le procedure delle organizzazioni di trapianto. Il rifiuto del Dipartimento della Salute di commentare l’accaduto, unito alle dichiarazioni anonime del personale sanitario, dipinge un quadro di tensioni e silenzi. L’inchiesta del New York Times non mira a screditare la donazione di organi in sé, ma a lanciare un avvertimento sulla necessità di maggiore trasparenza e rigore. Se la fiducia del pubblico nel sistema di donazione viene scossa da storie come quella di Danella, l’intero sistema potrebbe risentirne, con un calo delle donazioni che metterebbe in pericolo ancora più vite. La speranza è che il suo caso, pur nella sua drammaticità, possa portare a un’analisi approfondita delle procedure e a una maggiore tutela per i pazienti più vulnerabili, garantendo che ogni decisione sulla fine della vita sia presa con la massima cautela e rispetto.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure