
Il 31 marzo 2025, Messina è stata scossa da un tragico episodio: Giulia Campanella, una studentessa di 22 anni, è stata brutalmente uccisa a coltellate all’uscita di un autobus. Il suo assassino, Stefano Argentino, compagno di università, ha confessato l’omicidio e da quel momento è stato detenuto nel carcere di Messina in attesa di processo. Secondo le indagini, Argentino aveva perseguitato Giulia per circa due anni, alimentando un clima di tensione e paura. La sua morte ha suscitato indignazione e richieste di giustizia, portando a manifestazioni in tutta Italia contro la violenza di genere.
Il 6 agosto 2025, Stefano Argentino si è tolto la vita nel carcere di Messina. Nonostante avesse precedentemente manifestato intenti suicidari, era stato ritenuto idoneo alla detenzione ordinaria e, quindici giorni prima del tragico gesto, era stato trasferito in una cella condivisa con altri detenuti. La sua morte ha sollevato interrogativi sulla gestione della sua detenzione e sulla responsabilità delle istituzioni penitenziarie. La Procura di Messina ha aperto un’inchiesta e notificato sette avvisi di garanzia a personale sanitario e amministrativo del carcere, per accertare eventuali negligenze nella sorveglianza e nell’assistenza psicologica ricevuta da Argentino.
La denuncia della madre di Stefano Argentino

È un fiume in piena Daniela Santoro, madre di Stefano Argentino, il giovane di 27 anni che si è tolto la vita nel carcere di Messina, dove era detenuto in attesa di giudizio per l’omicidio di Sara Campanella. “In carcere si va per scontare una pena, non per morire – afferma la donna in esclusiva ai microfoni di Tgcom24 – e ancora una volta lo Stato ha fallito”.
La madre non riesce a trovare pace di fronte a quella che definisce una tragedia annunciata. Argentino, infatti, aveva espresso più volte l’intenzione di farla finita dopo il grave fatto che lo vedeva coinvolto. “Stefano ha sempre manifestato quel pensiero, che noi abbiamo cercato di contrastare finché abbiamo potuto”, racconta Daniela Santoro.
Nel racconto ai giornalisti, la donna entra nel dettaglio delle condizioni in cui versava il figlio all’interno della casa circondariale di Messina. “Tutti sapevano che mio figlio si era fatto digiuno per cinque giorni, poi aveva ripreso a nutrirsi. Successivamente ha smesso di bere per 17 giorni consecutivi, si è disidratato e lo hanno portato in infermeria”.
Violenze psicologiche
La madre denuncia anche le presunte violenze psicologiche subite da Stefano, come quella di avere la televisione in cella accesa con programmi che parlavano proprio di lui, aumentando così il suo stato di sofferenza e isolamento.
Un grido di dolore che chiama in causa la responsabilità dello Stato e delle strutture penitenziarie, in un caso che riporta all’attenzione il tema della tutela dei detenuti e del loro diritto alla vita anche dietro le sbarre.