
Il caso Garlasco torna sotto i riflettori con un nuovo capitolo che riaccende il dibattito pubblico. Questa volta a parlare è la genetista Marina Baldi, esperta riconosciuta nel settore, che invita a riconsiderare alcuni aspetti fondamentali della perizia del 2009. Secondo Baldi, quel documento presentava già allora diverse zone d’ombra e oggi, grazie ai progressi della scienza, meriterebbe una revisione approfondita per far luce su dettagli ancora irrisolti.
Analisi scientifiche sotto esame
Nel corso di un’intervista, la genetista ha sottolineato come le indagini di sedici anni fa non abbiano fornito risultati tecnici incontestabili. “Zone grigie ce ne sono tante. Spesso accade, ma in questa ce ne sono proprio tante, tanto che la vicenda giudiziaria di Stasi fu molto articolata”, ha dichiarato Baldi, aggiungendo che le tecnologie oggi disponibili renderebbero possibile un’analisi più precisa e affidabile.

Perizie da rivedere con le nuove tecnologie
Pur riconoscendo la validità di alcune parti della perizia iniziale, Baldi invita a riesaminare molti dettagli con gli strumenti moderni, più sensibili e accurati. Non a caso, la Procura ha avviato una nuova attività di verifica, confrontando i risultati del passato con quelli che oggi è possibile ottenere. L’obiettivo resta quello di chiarire aspetti rimasti incerti e, finalmente, avvicinarsi a una verità solida.

Il sangue sui pedali: un dettaglio chiave
Uno dei punti più discussi dell’intera vicenda riguarda le tracce di sangue trovate sui pedali della bici di Alberto Stasi, elemento centrale nell’accusa. Baldi precisa che la quantità rinvenuta era “irrisoria”, attribuibile a Chiara Poggi ma a bassissima concentrazione. Un dettaglio che lascia spazio a diverse interpretazioni: “Non c’è motivo per cui ci debba essere sangue di una persona sui pedali, se non trasportato dalle scarpe, e questo innesca tutta una serie di ragionamenti”.


DNA, errori possibili e nuovi scenari
La genetista mette in guardia sulla scarsità del DNA trovato sui pedali, sottolineando che una quantità così minima rende difficile una rilevazione sicura. In questi casi, il rischio di errore aumenta considerevolmente. Alla domanda su quanto sia facile sbagliare con così poco materiale genetico, la risposta è stata chiara: “Sì, si può sbagliare”. Un’affermazione che, in un caso mai davvero chiuso, riapre interrogativi e alimenta nuove discussioni tra esperti e opinione pubblica.