
A meno di un mese dai 92 anni, Nicola Pietrangeli è tornato a casa dopo l’ultimo ricovero al Policlinico Gemelli, ma la testa e il corpo gli presentano un conto pesante. La perdita del figlio Giorgio, scomparso a 59 anni per un tumore al cervello, ha scavato una ferita che non si richiude; il dolore fisico, residuo della frattura del femore di dicembre, completa un quadro che il più grande tennista italiano del Novecento definisce senza giri di parole: «vorrei un giorno senza dolore».
Nel racconto affidato a SuperTennis, l’ex due volte campione del Roland Garros ammette di sentirsi «svuotato», con la memoria corta che gli gioca brutti scherzi e un fastidio costante all’osso sacro che lo costringe a letto: niente partite a carte («mi manca la peppa»), pochi spostamenti, perfino le incombenze burocratiche — come il permesso di soggiorno monegasco — diventano montagne. La celebre ironia sulla finta rivalità con Jannik Sinner lascia spazio a una stanchezza che non riesce a mascherare: «sono stanco di essere stanco», confessa, immaginando un domani «uguale a oggi».
Oggi la leggenda vive in equilibrio tra ricordi luminosi e un presente che punge. Ha «battuto il cancro», dice, ma non l’età. E mentre la comunità del tennis gli si stringe attorno, dai circoli agli appassionati, il suo desiderio resta semplice e potentissimo: trovare, almeno per un giorno, una tregua dal dolore e dal lutto.