
«Non era un incidente inevitabile: morire travolta da un’auto rubata da quattro ragazzini che perdono il controllo non può essere ridotto a pura sfortuna». A dirlo è Filippo Di Terlizzi, uno dei figli di Cecilia De Astis, la donna travolta e uccisa lunedì mattina in via Saponaro, a Milano. Le sue parole sono cariche di rabbia e dolore, pronunciate all’indomani di una tragedia che ha scosso l’intera città.
Filippo ha parlato ai giornali – tra cui Corriere della Sera, Repubblica e La Stampa – chiedendo che si faccia luce su quanto accaduto, ma soprattutto che non ci si nasconda dietro parole come “casualità” o “fatalità”. «Questa tragedia non si può giustificare con la sfortuna», ha detto. «Mi sembra ci sia poca sicurezza, non possiamo stare in questa situazione».

Il ragazzo definisce l’accaduto «un omicidio che non doveva esistere», e pur evitando attacchi politici diretti, esprime la sua preoccupazione: «Non voglio giudicare l’operato del sindaco, ma ho paura che episodi del genere possano accadere di nuovo». Per lui, è chiaro: «Non è una caccia alle streghe, ma una questione di sicurezza per tutti».
Dietro la tragedia ci sono quattro minorenni, cresciuti in contesti difficili. Secondo quanto emerso, avevano rubato un’auto e si erano messi alla guida, perdendo il controllo e travolgendo la donna. L’impatto è stato fatale. La loro età, l’incoscienza e la totale assenza di controllo hanno trasformato un’azione pericolosa in una tragedia irreparabile.
In queste ore si discute molto della decisione di riaffidare i quattro ragazzini alle famiglie, nel campo rom dove vivono. Una scelta che ha sollevato polemiche e dubbi, anche alla luce delle dichiarazioni del figlio di Cecilia, che si chiede come sia possibile che quei bambini «cresciuti nella delinquenza» fossero liberi di circolare in città.

Davanti al comando della polizia locale di via Pietro Custodi, la madre di uno dei ragazzini coinvolti ha parlato con i giornalisti tra le lacrime. «Non sono adulti, sono dei bambini. Se avessimo saputo che erano in auto, li avremmo fermati», ha detto. Ha spiegato che erano usciti per prendere del cibo per un fratellino, e che erano rientrati solo molto tardi.
La donna ha raccontato anche di aver saputo dell’incidente solo il giorno dopo, quando i figli hanno confessato tutto. Un racconto che aggiunge un altro strato di dolore a una vicenda che, secondo i familiari della vittima, «non doveva succedere» e che chiama in causa non solo responsabilità individuali, ma anche collettive.
Per ora, il pensiero va a Cecilia, una donna che si trovava semplicemente sul marciapiede, come ogni giorno. «Siamo dentro a un incubo», ha detto ancora il figlio, che ora pretende risposte, ma anche un cambiamento concreto sul piano della sicurezza. «Non possiamo più permetterci di girarci dall’altra parte», ha concluso.