
Anche se il vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin non si svolge più in forma privata come inizialmente previsto, i due leader hanno comunque avuto un momento riservato. È accaduto nel tragitto che li ha portati dalla pista di atterraggio alla sede del summit, a bordo della “Beast”, la limousine presidenziale statunitense blindata. Un luogo in cui il mondo esterno scompare e restano soltanto il ronzio dei sistemi di sicurezza e le parole di chi viaggia al suo interno.
Trump e Putin erano seduti uno accanto all’altro, senza interpreti né assistenti. I vetri oscurati proteggevano la loro privacy, mentre all’esterno la strada scorreva tra scorta e cordoni di sicurezza. In quell’abitacolo isolato, ogni frase poteva essere pronunciata sottovoce e restare confinata tra loro due.
Il tragitto è durato poco più di dieci minuti, abbastanza per un rapido scambio di impressioni o per lanciare messaggi impliciti. Potrebbero aver toccato il tema della guerra in Ucraina, sondato ipotesi di scambi territoriali o discusso, senza ammetterlo apertamente, di possibili concessioni sulle sanzioni economiche. In una situazione tanto delicata, anche una frase di cortesia può diventare un segnale politico, e un silenzio può essere un avvertimento.
Quando la “Beast” si è fermata all’ingresso del complesso militare scelto per il vertice, le portiere si sono aperte quasi in simultanea. Trump e Putin sono scesi uno accanto all’altro, avanzando con passo lento verso l’accoglienza, circondati dalle delegazioni e dai fotografi. Quel breve tratto a piedi, percorso senza guardarsi ma mantenendo la stessa andatura, è diventato l’immagine simbolica della giornata: due leader che camminano vicini, ma senza incrociare lo sguardo, come a dire che la distanza tra loro resta, anche quando lo spazio sembra annullarla.