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Pippo Baudo, dagli esordi al trionfo: il ragazzo di Militello che ha conquistato l’Italia

Pubblicato: 16/08/2025 21:50

All’inizio fu un giudizio spietato, messo nero su bianco nel 1960: “Buona presenza, discreto nel canto, adatto a programmi minori”. Era il responso di Antonello Falqui e Lino Procacci dopo il primo provino Rai di un giovane ventiquattrenne che arrivava dalla provincia di Catania con in tasca poche esperienze teatrali e un italiano sorprendentemente impeccabile. Quel ragazzo si chiamava Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo, ma presto tutti lo avrebbero conosciuto come Pippo, e la storia della televisione italiana non sarebbe stata più la stessa.

Falqui rimase stupito dalla sua dizione, tanto da chiedergli se avesse frequentato corsi specifici. La risposta fu secca: “Ho ascoltato la radio”. In quella battuta c’era già la tenacia di un uomo che avrebbe trasformato i limiti in occasioni, passando dall’etichetta di conduttore “per programmi minori” al titolo di “Pippo nazionale”. Un percorso costruito pezzo dopo pezzo, tra invenzioni, intuizioni e resistenze, fino a diventare simbolo di un’epoca.

Dall’esordio a Settevoci, l’esplosione del talento

La vera svolta arrivò nel 1966, quasi per caso. Una bobina mancante costrinse la Rai a mandare in onda la puntata pilota di un programma giudicato “intrasmissibile”: si trattava di Settevoci. Quella sera il pubblico scoprì Pippo Baudo e decretò un successo clamoroso. Da quel momento la sua carriera decollò, portandolo in pochi anni a diventare protagonista assoluto di un palinsesto che stava cambiando volto.

Dopo Settevoci, arrivò la consacrazione con Canzonissima e, soprattutto, con i grandi varietà degli anni Ottanta: Domenica In, Fantastico, Serata d’onore e le tredici conduzioni del Festival di Sanremo, record mai eguagliato. La sua televisione era fatta di eleganza e rigore, ma anche di improvvisazioni memorabili, come quando seppe gestire contestatori sul palco dell’Ariston o il guastatore per eccellenza, Roberto Benigni, capace di metterlo in difficoltà con gag clamorose.

Il passaggio a Fininvest, i ritorni e le direzioni artistiche

Nel 1987 Pippo decise di passare a Fininvest, diventando direttore artistico di Canale 5. Un’esperienza che lui stesso definì “il più grande errore della carriera”: programmi di successo, ma un clima ostile. Ricordava spesso la guerra spietata di colleghi come Costanzo, Corrado e Antonio Ricci, a fronte della difesa di Mike Bongiorno e della coppia Sandra e Raimondo. Dopo appena un anno rescisse il contratto, pagò la penale e rimase fermo per mesi, finché la Rai – spinta perfino dalle pressioni popolari – non lo richiamò.

Rientrato a viale Mazzini, condusse programmi storici come Gran Premio, Varietà, Luna Park, Papaveri e papere, fino a riprendere in mano più volte la sua amata Domenica In. Non solo: dal 1994 al 1996 ricoprì il ruolo di direttore artistico della Rai, guidando l’azienda nei suoi anni più complessi. Parallelamente fu presidente del Teatro Stabile di Catania, confermando un legame indissolubile con la sua Sicilia.

Nel nuovo millennio Baudo non si fermò: Novecento, Il viaggio, la giuria di Si può fare!, e persino il rilancio di Sanremo Giovani con Fabio Rovazzi nel 2018. In sessant’anni di carriera ha collezionato oltre centocinquanta programmi, esperienze cinematografiche e perfino canzoni scritte per altri artisti.

Le invenzioni, i lanci e gli incontri

Questo l’ho inventato io” era più di un tormentone: era la sintesi della sua capacità di scoprire talenti. A lui devono molto Lorella Cuccarini, Heather Parisi, Andrea Bocelli, Giorgia, Laura Pausini, Fabrizio Moro. Lanciò o rilanciò voci come quelle di Milva, Mietta, Anna Oxa, Giuni Russo. E non mancò di incrociare destini inattesi, come quello di Barbara D’Urso, inizialmente valletta con poche battute, o di un comico genovese destinato a rivoluzionare politica e spettacolo: Beppe Grillo.

Gli aneddoti abbondano. Come la scoperta di Al Bano in un ristorante di Milano, o l’incontro burrascoso con Padre Pio, che lo cacciò per aver ammesso di essere lì “per curiosità”. O ancora la complicità con Mike Bongiorno, trasformata in rivalità finta e mediatica: “Agli italiani i dualismi piacciono. Saremo il Coppi e Bartali della tv”, spiegava Mike.

Baudo seppe anche affrontare situazioni delicate, come l’intervista a Ugo Tognazzi dopo la satira de “Il Male” che lo descriveva capo delle Brigate Rosse, o la crisi diplomatica con l’Iran scoppiata durante un’edizione di Fantastico. Sempre con la stessa arma: professionalità.

Il mito e l’eredità

Dalla gavetta alle platee internazionali, Pippo Baudo è rimasto un simbolo della televisione italiana. Ha incarnato un’idea di intrattenimento colto ma popolare, capace di rappresentare il Paese e le sue trasformazioni. Per decenni è stato il volto con cui gli italiani hanno identificato la Rai, e non a caso il critico Aldo Grasso sintetizzò così: “Pippo è Sanremo, Sanremo è Pippo”.

Eppure non sono mancati i passi falsi, come il contestato programma per i 150 anni dell’Unità d’Italia che gli valse il TeleRatto insieme a Bruno Vespa, o l’autocritica sul passaggio a Mediaset. Ma anche in quelle occasioni Baudo dimostrò una dote rara: la capacità di ridere di sé stesso, accettando critiche e sconfitte.

In fondo, la sua carriera è stata una lunga sequenza di reinvenzioni, scandita da una frase che lo ha accompagnato sempre: “Questo lavoro si fa soltanto quando si è felici”. La leggenda di Pippo Baudo non si misura soltanto nei record o nei programmi condotti, ma nella capacità di aver portato la tv dentro le case e i cuori degli italiani, trasformando errori e incidenti in spettacolo. Un monumento catodico che, nel bene e nel male, ha insegnato al Paese cos’è la televisione.

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