Vai al contenuto

Pippo Baudo, l’uomo che ha raccontato l’Italia davanti alla tv

Pubblicato: 16/08/2025 21:46

C’è un momento in cui un Paese si guarda allo specchio, e spesso quel riflesso è televisivo. La morte di Pippo Baudo non è soltanto la scomparsa di un grande conduttore, ma la fine di un’epoca: la tv che inventava se stessa, e con essa l’Italia che cambiava. Baudo è stato, per oltre mezzo secolo, il filo che ha unito il bianco e nero dell’Italia repubblicana alle esplosioni di colore dell’età del consumo, alle incertezze della Seconda Repubblica, fino all’avvento del digitale e oltre.

Dagli esordi negli anni Sessanta, quando venne bollato dai primi dirigenti Rai come “adatto per programmi minori”, alla consacrazione con varietà entrati nella storia – da Canzonissima a Fantastico – Baudo ha incarnato la capacità della televisione di essere insieme specchio e guida della società. Non solo presentatore, ma autore, talent scout, regista occulto di carriere: da lui sono passati i debutti di artisti come Heather Parisi, Lorella Cuccarini, Andrea Bocelli. Eppure, ridurlo a talent scout sarebbe ingeneroso: Baudo era la tv.

La tv come romanzo nazionale

Quando saliva sul palco di Sanremo, che ha condotto più di chiunque altro, Baudo non portava soltanto le canzoni: portava il rito di una nazione che si stringeva intorno a un evento collettivo. Ogni Festival era un pezzo di storia sociale: le polemiche, le scoperte, gli scandali. Baudo gestiva tutto con l’aria del padre severo e bonario, capace di rimproverare e di rilanciare, di proteggere la tradizione e insieme di aprire a ciò che nuovo arrivava.

Negli anni Settanta, mentre l’Italia attraversava piombo e terrorismo, la sua tv offriva evasione ma non superficialità: il varietà era disciplina, ordine, lavoro duro, prove infinite. Negli Ottanta, con l’arrivo delle tv commerciali, Baudo visse lo scontro tra Rai e Fininvest non come una resa, ma come un passaggio obbligato: anche lui scese nell’arena, portando la sua autorevolezza nel nuovo mondo berlusconiano, salvo poi tornare a viale Mazzini, dove resterà l’emblema del servizio pubblico.

Un simbolo dell’Italia che cresceva

Guardare Baudo era, in fondo, guardare noi stessi. Il ragazzo di Militello diventato “Pippo nazionale” raccontava la parabola di un Paese che dalla provincia aspirava alla modernità, che si riconosceva nel suo italiano impeccabile, nella sua capacità di stare sul palco come un conduttore d’orchestra. Non era un uomo simpatico a tutti, spesso discusso, ma sempre rispettato. Come i simboli veri, era polarizzante e imprescindibile.

Oggi che se ne va, lascia non soltanto un’eredità professionale, ma un senso di vuoto storico. Perché con lui muore la tv dei grandi eventi popolari condivisi, quella che sapeva ancora unire famiglie, quartieri, città. In un’Italia frammentata dai social e dai mille schermi personali, Baudo resta il ricordo di quando la televisione era davvero il romanzo nazionale.

La sua scomparsa è, in fondo, l’ultima sigla di chiusura di un’Italia che non c’è più.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure