
Domani a Washington non sarà il solito copione. Non ci sarà un Trump trionfante che detta le condizioni a un Zelensky isolato e costretto sulla difensiva. Questa volta l’Europa si siede al tavolo, e il messaggio è chiaro: basta con le rese travestite da pace, basta con le concessioni territoriali svendute come soluzioni “realistiche”.
Perché Trump, dopo l’inchino fatto a Putin in Alaska, pensava di giocare la partita in casa, con un Zelensky debole e pronto a subire. Ma il copione gli è stato strappato di mano. Con Macron, Meloni, Starmer, von der Leyen e gli altri leader europei nella stanza, non potrà fare lo showman che impone la sua sceneggiata di pace americana.
L’arena di Zelensky è l’Europa

Paradosso dei paradossi: proprio quell’Europa accusata di lentezza, divisione e impotenza, diventa l’arena più forte di Zelensky. Qui trova protezione, qui trova la forza politica che a Washington rischiava di mancargli. L’Europa non si limita più a inseguire la diplomazia americana: la sfida sul futuro dell’Ucraina la porta sul tavolo, in faccia a Trump.
È un atto di guerra politica, perché significa dire agli Stati Uniti che non è più accettabile trattare l’Ucraina come una moneta di scambio. Non si regalano pezzi d’Europa a Mosca per una stretta di mano a beneficio delle campagne elettorali americane.
Il tappeto rosso di sangue
La verità è semplice e brutale: se domani l’Europa non regge l’urto, Trump e Putin poseranno insieme il tappeto rosso di sangue su cui far sfilare la loro “pace”. Ma questa volta non sarà così facile. Perché a Washington non arriva solo Zelensky: arriva l’Europa, arriva la coscienza del continente, arriva il rifiuto di trasformare la resa in spettacolo.
Finalmente, l’Europa batte un colpo. Non per altruismo, ma per non sparire dalla storia.