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Addio al mito della musica: dagli Usa si era trasferito in Italia, Paese in lutto

Pubblicato: 18/08/2025 11:47

Era arrivato dall’America con il cuore pieno di jazz e country, da Nashville, la città della musica, e aveva scelto Milano come patria definitiva. Qui aveva portato la sua vita e i suoi ritmi, fino a diventare un volto familiare in via Torino, dove aveva trasformato il marciapiede a due passi dal Duomo nella sua casa. Si è spento in silenzio, a 90 anni, Roye Lee, il “barbone” più famoso di Milano, come lo chiamavano con quell’accezione affettuosa tutta meneghina.

La sua era stata una vita intensa, vissuta tra passioni e dolori. Negli anni Cinquanta arrivò in Italia come militare dell’esercito statunitense e se ne innamorò al punto da restare per sempre. Nel bagaglio portava collaborazioni prestigiose con Elvis Presley, Frank Sinatra e Dean Martin, aveva conosciuto Ernest Hemingway e visto agli esordi Bruce Springsteen. Autore di centinaia di canzoni in inglese, si era presentato anche al pubblico italiano lavorando con Renzo Arbore, Gianni Boncompagni e Mike Bongiorno. Non mancò lo scontro, come quello con Claudio Baglioni, accusato di plagio per il brano Who’s gonna break your heart.

Poi la vita prese una direzione diversa, dolorosa. Un matrimonio finito, la solitudine, la strada. Roye scelse di restare sorridente, diventando il senzatetto dall’accento americano che non chiedeva elemosina, ma regalava battute e buoni umori. Impossibile non notarlo con la lunga barba bianca, spesso intento a leggere il New York Times. Nel 2007 un incontro con Cristina Mesturini della Croce Rossa lo riportò alla musica: accettò un alloggio e tornò sul palco al Trottoir di piazzale XXIV Maggio nel marzo 2009.

Il riconoscimento della sua storia arrivò nel 2016, quando ricevette al teatro Dal Verme una targa alla carriera consegnata dal direttore di Radio Meneghina, Tullio Barbato. Fino alla fine rimase fedele al suo personaggio, scrivendo frasi e ricordi sui tovaglioli di un centro commerciale, come quell’episodio che amava raccontare: «Quando Hemingway venne a Nashville lo portai a visitare una distilleria…». Un uomo che, anche ai margini, non smise mai di vivere da protagonista.

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