
Chiedere alla vittima di fermare la guerra mentre l’aggressore continua a bombardare le città, a uccidere civili, a rivendicare territori che non gli appartengono: ecco la misura della follia politica di Donald Trump. Non c’è logica, non c’è giustizia, non c’è nemmeno realismo in questa richiesta che il nuovo presidente americano ha rivolto a Volodymyr Zelensky, come se il problema della pace fosse nelle mani di chi resiste all’invasione e non di chi l’ha scatenata.
La scena è grottesca. Mosca spara missili sulle case di Kharkiv, colpisce Odessa, minaccia Kiev, eppure secondo Trump dovrebbe essere l’Ucraina a “mettere fine al conflitto”. È la stessa logica di chi, di fronte a un pestaggio, dice al malcapitato di smettere di difendersi per non “provocare” ulteriori violenze. Una logica che rovescia la realtà e che ha un solo obiettivo: normalizzare le pretese di Vladimir Putin, consegnando all’aggressore il premio della forza e alla vittima la colpa della resistenza.
La verità è che questa posizione non è solo cinica, ma anche pericolosa. Significa legittimare l’idea che un Paese possa riscrivere i confini con la violenza, che l’ordine internazionale sia solo un pretesto, che la forza conti più del diritto. Significa condannare non solo l’Ucraina, ma anche l’Europa, a vivere sotto il ricatto permanente del Cremlino. Ed è qui che si rivela la parte più inquietante della visione trumpiana: la sua non è ingenuità, è un calcolo che riduce la libertà di un popolo a merce di scambio, la democrazia a variabile geopolitica sacrificabile.
C’è in questo atteggiamento un’eco antica, un odore di tragico che la filosofia e la letteratura hanno raccontato molte volte. È l’idea che la vittima, per liberarsi, debba piegarsi al carnefice. È l’eterno tema della resa travestita da pace, che va da Tucidide al dramma di Sofocle, fino ai moderni racconti distopici in cui la verità viene capovolta fino a sembrare colpa di chi subisce. È il paradosso di chiedere a chi lotta per sopravvivere di smettere di respirare per accontentare chi gli sta togliendo l’aria.
Ecco perché l’Europa non può permettersi di seguire Trump su questa strada. Perché la pace non è mai la resa, e la resa non è mai la pace. Finché la guerra sarà nelle mani di Putin, solo lui potrà fermarla. Chiedere a Zelensky di abbassare le armi equivale a chiedergli di tradire il suo popolo e di rinunciare alla libertà. Una follia, appunto, che la storia ci insegna a riconoscere come preludio non alla pace, ma a nuove catastrofi.
Perché l’Europa questo l’ha già visto. Ha visto la pace pagata con pezzi di territorio, ha visto gli accordi di Monaco del 1938 trasformarsi in preludio alla guerra totale, ha visto la vigliaccheria mascherata da diplomazia aprire la strada ai carri armati. Oggi la follia di Trump somiglia a quel passato che credevamo sepolto: chiedere a chi è stato invaso di arrendersi per “mettere fine alla guerra” è la stessa illusione che ha spalancato le porte all’oscurità del Novecento. Ma l’Europa, se vuole davvero essere figlia della sua storia, deve ricordare che la pace non nasce mai dalla resa: nasce solo dalla resistenza.