
Donald Trump ha confermato ciò che da giorni circolava come ipotesi. L’ex presidente, tornato alla Casa Bianca, ha dichiarato pubblicamente che gli Stati Uniti avranno un ruolo centrale nella sicurezza futura dell’Ucraina. In conferenza stampa accanto a Volodymyr Zelensky, Trump ha sottolineato: «L’Europa è in prima linea per la vostra difesa, ma noi la sosterremo». Un’affermazione che segna un cambio di rotta rispetto alla sua tradizionale linea di disimpegno militare dal Vecchio Continente.
Più volte incalzato dai giornalisti, l’inquilino della Casa Bianca non ha escluso nemmeno la possibilità di un invio di truppe americane, pur senza sbilanciarsi troppo. Il messaggio politico però è chiaro: Washington è pronta a garantire copertura aerea, intelligence satellitare e supporto logistico, settori in cui gli Stati Uniti vantano una superiorità netta, anche rispetto alla Russia.

Il nodo dello scambio “land for peace”
Il dibattito diplomatico ruota ancora attorno alla formula «land for peace», cioè concessioni territoriali in cambio della fine delle ostilità. È un compromesso che molti a Kiev considerano un prezzo altissimo, quasi un premio all’aggressione russa. Ricacciare l’armata di Mosca con le sole armi appare oggi un’utopia, e la priorità diventa ridurre al minimo i danni.
La memoria va al 2014, quando la Crimea fu invasa da Putin e l’Occidente reagì con misure deboli e incoerenti. Allora mancò una strategia di lungo periodo, e Mosca ne approfittò.
Evitare gli errori del passato
Gli anni successivi hanno mostrato quanto quell’approccio fosse fallimentare. Angela Merkel portava avanti i progetti energetici con la Russia, tra cui il gasdotto Nord Stream 2, mentre l’amministrazione Obama-Biden varava sanzioni troppo blande per scoraggiare nuove offensive.
Oggi, Zelensky ha chiarito di cosa ha bisogno per non ripetere gli stessi errori: un esercito nazionale forte, continui rifornimenti di armi dall’Occidente e garanzie concrete anche sotto forma di impegno militare diretto. È interessante notare come alcune di queste richieste, un tempo rifiutate con fermezza da Putin, sembrino ora trovare meno resistenza. In questo contesto, la nuova disponibilità di Trump assume un peso notevole, soprattutto se confrontata con l’approccio più prudente di Joe Biden, che aveva sempre escluso sia «scarponi Usa sul terreno» sia ipotesi come una no-fly zone.
Il rischio della “terza invasione”
La condizione implicita alla svolta di Trump sembra essere un vero cessate-il-fuoco. In caso contrario, ogni impegno militare resterebbe sulla carta. Ma la sua apertura è considerata da molti un “game-changer” perché permette a Londra, Parigi, Berlino, Varsavia e – si spera – anche a Roma di organizzare un dispositivo di sicurezza duraturo.
L’obiettivo dichiarato è scongiurare il rischio che Putin utilizzi la tregua come semplice pausa per riarmarsi e lanciare una terza invasione dell’Ucraina.
Il nuovo equilibrio tra Washington e l’Europa
Cosa ha convinto Trump a cambiare atteggiamento? Non basta pensare al desiderio di un Premio Nobel per la Pace, che pure molti gli attribuiscono come ambizione. Due fattori concreti sembrano aver pesato:
- L’accordo in sede NATO che porterà i Paesi membri ad aumentare la spesa militare fino al 3,5% del PIL, con prospettive di crescita addirittura al 5%.
- L’intesa sui dazi commerciali, discussa e controversa, che però ha contribuito a rasserenare i rapporti transatlantici.
In questo clima più disteso, Trump ha parlato ieri dei «sette potenti leader europei, i miei amici», un tono ben diverso rispetto alle tensioni del passato.
Le mosse degli alleati
La Germania di Friedrich Merz ha annunciato piani di spesa militare senza precedenti, puntando a trasformarsi da economia dipendente dalle esportazioni a un modello trainato dalla domanda interna. L’Italia, invece, ha avanzato la proposta di garanzie di sicurezza per Kiev «sul modello dell’articolo 5 Nato», un compromesso che consente di aggirare l’impossibilità, almeno per ora, di una vera adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica.
Trump ha impacchettato il tutto con il suo linguaggio tipico, sovranista e diretto: «Io le armi all’Ucraina le vendo, non le regalo». Ma il punto essenziale è che, fino a poco tempo fa, aveva minacciato addirittura l’abbandono completo di Kiev e dell’Europa. Oggi, invece, si presenta come garante, anche se a modo suo, di una possibile stabilità futura.