
«Fino a quando, Putin, continuerai ad abusare della nostra pazienza?». Con queste parole, che richiamano Cicerone contro Catilina, qualcuno ha descritto la posizione di Donald Trump. L’attuale presidente americano, pur senza spingersi a tanto, ha ribadito ieri che il suo obiettivo è «andare in paradiso», lavorando per mettere fine alla guerra. L’idea è quella di organizzare un incontro diretto tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, con l’auspicio che ciò possa aprire la porta alla pace. Tuttavia, lo stesso Trump ha avvertito che il capo del Cremlino «potrebbe non volere un accordo, nel qual caso si metterebbe in una situazione assai difficile».
Tra minacce e aperture
Il leader americano ha spiegato che, se Putin non accettasse di negoziare, il percorso avviato ad Anchorage rischierebbe di bloccarsi. In quel caso Mosca tornerebbe a rappresentare l’ostacolo principale verso una soluzione, con tutte le «severe conseguenze» previste, a partire da nuove sanzioni secondarie per colpire l’economia russa.

Trump, che ha deciso di rinunciare alle vacanze per seguire da vicino il negoziato, durante un’intervista a Fox News ha scherzato sul suo posto “nella lista di San Pietro”, dicendo di trovarsi piuttosto in basso ma convinto di poter «risalire la graduatoria mettendo fine alla guerra in Ucraina». Ha poi confermato: «Stiamo lavorando per organizzare un incontro tra Putin e Zelensky. Se avrà successo, potremo tenere un vertice trilaterale e risolvere la questione».
Per il luogo si valutano varie ipotesi: Budapest e la consueta Ginevra sono opzioni sul tavolo, ma Putin ha proposto la sua “Terza Roma”, un’idea che alimenta i sospetti sul reale interesse russo a concludere. Non a caso Trump ha ribadito: «Putin potrebbe non volere un accordo, ma in questo caso si metterebbe in una condizione molto difficile».
La fase di schermaglia diplomatica
La dinamica resta quella tipica dei negoziati: alternanza di minacce e segnali di apertura. Poco dopo le dichiarazioni del presidente, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha confermato che il leader russo avrebbe dato disponibilità a incontrare quello ucraino e che i lavori preparatori sono in corso.
Trump, almeno per ora, sembra voler dare fiducia al Cremlino. A questo scopo ha costruito una squadra guidata dal segretario di Stato Rubio, incaricata di definire garanzie di sicurezza per Kiev in coordinamento con gli alleati europei. L’inquilino della Casa Bianca ha escluso categoricamente di inviare soldati a monitorare una futura tregua, ma Leavitt ha rivelato che si sta valutando l’impiego dei piloti: dal cielo potrebbero fornire intelligence e supporto operativo senza presenza sul terreno.
L’incognita Putin
Il nodo resta la reale volontà di Putin. Il leader russo continua a ritenere di avere il vantaggio militare e ciò rende incerto l’esito di ogni apertura. A gettare benzina sul fuoco sono intervenuti due volti noti di Mosca.
L’ex presidente Dmitrij Medvedev, solitamente incaricato di esprimere le posizioni più aggressive, ha deriso i leader europei: «I volenterosi anti russi non hanno battuto Trump». Più diplomatico ma altrettanto fermo, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha confermato che Putin ha invitato Trump a visitare la Russia, sottolineando che «Trump vuole sinceramente la pace, una pace a lungo termine e stabile, affrontando le cause primarie della guerra». Parole che celano le accuse all’Occidente di aver usato Kiev per minare la sicurezza di Mosca. Secondo Lavrov, la telefonata di lunedì in mezzo al vertice con gli europei «ha confermato l’intesa tra i due leader per mettere fine a questa crisi, con modalità per assicurare che non si ripeta più».
I prossimi passi
Trump ritiene che il primo passo debba essere un incontro bilaterale tra Putin e Zelensky, in cui discutere di territori e garanzie di sicurezza. Successivamente, un vertice a tre chiuderebbe il cerchio. Lavrov, però, ha frenato, dichiarando che la Russia non rifiuta né bilaterali né trilaterali, ma riducendo Zelensky a «un personaggio». Ha aggiunto che «ogni contatto tra i leader deve essere preparato con molta cautela», lasciando intendere che Mosca non è pronta a muoversi rapidamente. Il cammino verso la pace resta quindi pieno di ostacoli. Ma Trump insiste: l’obiettivo è «andare in paradiso» fermando il conflitto. Un traguardo che, se raggiunto, cambierebbe non solo il destino dell’Ucraina, ma anche quello della sua stessa presidenza.