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Luca Sinigaglia, alpinista italiano morto per aiutare l’amica. Ora la scoperta shock: “Già 4 anni fa…”

Pubblicato: 21/08/2025 20:03

È morto a quasi settemila metri d’altezza, cercando di salvare la compagna di cordata ferita. L’alpinista milanese Luca Sinigaglia, 49 anni, appassionato ed esperto di scalate estreme, ha trovato la fine della sua avventura sul Pik Pobeda (7.439 metri), una delle vette più dure del Kirghizistan, al confine con la Cina. Il giorno di Ferragosto il suo corpo è stato ritrovato: secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stato colpito da edema cerebrale da alta quota, aggravato dal congelamento.

Natalia intrappolata sul Pik Pobeda

Con lui c’era la scalatrice russa Natalia Nagovitsyna, 47 anni, che durante la discesa, lo scorso 12 agosto, si è rotta una gamba a circa 7.150 metri di quota. Da allora è rimasta bloccata senza radio, con scorte di cibo ridotte al minimo. Nonostante i tentativi dei compagni di portarle una tenda e beni di prima necessità, la donna è ancora prigioniera della montagna, ormai da oltre dieci giorni.

La giornalista Anna Piunova, direttrice del sito mountain.ru, ha aggiornato costantemente la situazione tramite i social, raccontando le difficoltà di un’operazione di salvataggio mai tentata prima a simili altitudini sul Pik Pobeda. Un drone inviato il 19 agosto ha confermato che Natalia era ancora viva. Un team di soccorritori ha raggiunto quota 5.800 e, con condizioni meteo favorevoli, ha programmato di arrivare a 6.400 metri il giorno successivo.

Come è morto Luca Sinigaglia

La notizia della scomparsa di Sinigaglia, rilanciata anche dal portale del Cai Lo Scarpone, proviene da fonti kirghise e dal canale Telegram russo Mash. Stando alle ricostruzioni, la caduta e la frattura della gamba di Nagovitsyna hanno segnato l’inizio della tragedia. Sinigaglia, insieme a un alpinista russo e a un tedesco, ha fatto il possibile per aiutarla, ma è stato proprio durante questi sforzi che la sua salute è crollata. Il 16 agosto un elicottero Mi-8 dell’aviazione kirghisa aveva tentato un recupero dall’alto, ma le condizioni estreme hanno costretto a un atterraggio d’emergenza a 4.600 metri. I soccorritori, feriti nell’impatto, sono stati ricoverati a Karakol, fortunatamente senza gravi conseguenze.

Un legame nato in montagna

La storia tra Luca e Natalia non si limita a questa spedizione. La sorella di Sinigaglia, Patrizia, lo ha ricordato così: «Si erano conosciuti quattro anni fa in Kazakistan. Lei era con il marito Sergej e Luca li ha incontrati durante la scalata: li ha visti in difficoltà e quindi non ha proseguito l’ascesa, ma si è fermato per aiutarli. È riuscito a riportare al campo base solo Natalia, mentre suo marito purtroppo non ce l’ha fatta. Da allora si sentivano spesso e ogni tanto si mettevano d’accordo per incontrarsi su qualche vetta in giro per il mondo». Un legame nato nella tragedia che si è rinnovato anche questa volta. «Ha compiuto un atto di grande coraggio – ha aggiunto la sorella – Siamo disperati, ma possiamo aggrapparci a questa consapevolezza. Lui non avrebbe mai lasciato indietro nessuno».

Chi era Luca Sinigaglia

Celibe, senza figli, Luca lavorava nel settore della cybersicurezza. La sua vera passione, però, erano i viaggi avventurosi e soprattutto la montagna. Nonostante fosse un esperto, la scalata al Pik Pobeda si è rivelata fatale. Il corpo dell’alpinista si troverebbe ora in una cavità di ghiaccio a circa 6.900 metri, rendendo complesso il recupero. L’Ambasciata d’Italia ad Astana, insieme al console onorario a Bishkek, sta seguendo l’evoluzione in stretto contatto con le autorità locali e i familiari.

L’eroe del Pik Pobeda

Il gesto di Luca non è passato inosservato. Sui social sono già apparsi messaggi di cordoglio e riconoscenza. «Un gesto – scrive un utente sul profilo Instagram di Luca – che ti apre alle scalate del cielo». Il Cai ha ricordato che mai prima d’ora un alpinista ferito era stato salvato a simili quote sul Pik Pobeda. Quella di Natalia è una corsa contro il tempo, mentre per Luca resta la memoria di un uomo che ha scelto di restare accanto all’amica, fino alla fine. Un sacrificio che molti hanno già definito da “eroe”, capace di lasciare un segno non solo sulle montagne che tanto amava, ma anche nei cuori di chi lo conosceva.

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