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Ruspe sul centro conosciuto in tutta Italia, Salvini esulta: sta succedendo adesso

Pubblicato: 21/08/2025 10:21

Il 14 agosto 2025, a Milano, le forze dell’ordine, affiancate dall’ufficiale giudiziario, hanno dato esecuzione a un ordine di sfratto che ha segnato un punto di svolta nella lunga e complessa vicenda del Leoncavallo, uno dei più celebri e longevi centri sociali d’Italia.

L’intervento ha posto fine a un’occupazione che durava dal lontano 1994, quando il centro si era stabilito in un ex stabilimento di materassi in via Watteau, diventando un punto di riferimento culturale, politico e sociale per intere generazioni di milanesi. Questo atto non è stato un fulmine a ciel sereno, ma l’epilogo di un contenzioso che si è protratto per anni, caratterizzato da rinvii, ricorsi legali e un’intensa mobilitazione da parte degli attivisti.

La lunga storia di rinvii e contenziosi

Lo sfratto del Leoncavallo non è stato una decisione presa all’improvviso, ma il risultato di una storia travagliata che ha visto un centinaio di rinvii nel corso del tempo. Questo lungo braccio di ferro legale ha coinvolto direttamente i proprietari dell’area, la famiglia Cabassi, e il Ministero dell’Interno. La vicenda ha raggiunto un momento cruciale quando, lo scorso novembre, il Ministero è stato condannato a versare un risarcimento di 3 milioni di euro ai proprietari. Questa sentenza ha rappresentato un chiaro segnale di come la questione non potesse più essere ignorata, mettendo in evidenza le responsabilità dello Stato per il mancato sgombero, che di fatto ha perpetuato un’occupazione ritenuta abusiva dal punto di vista legale. La sentenza ha accelerato i tempi e ha reso inevitabile l’intervento odierno, segnando la conclusione di una lunga e tormentata fase di stallo.

Le prime reazioni politiche

La notizia dello sfratto ha immediatamente suscitato reazioni nel mondo politico. Il primo commento, carico di soddisfazione, è stato quello del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini. “Decenni di illegalità tollerata, e più volte sostenuta dalla sinistra: ora finalmente si cambia. La legge è uguale per tutti: afuera!“, ha scritto il vicepremier e leader della Lega su X. Questo messaggio sintetizza la posizione di chi vede nello sgombero un atto di ripristino della legalità dopo anni di tolleranza, attribuendo la responsabilità della lunga occupazione a schieramenti politici opposti.

Il ruolo delle “Mamme del Leoncavallo” e la ricerca di una nuova casa

In questo scenario di tensione e incertezza, è emerso un tentativo concreto di trovare una soluzione alternativa, guidato dall’associazione “Mamme del Leoncavallo”. Questa iniziativa, che ha coinvolto attivamente il Comune di Milano, mirava a trovare una nuova sede per le attività del centro sociale, un’azione che dimostrava la volontà di alcuni di uscire dalla clandestinità e di istituzionalizzare almeno in parte l’esperienza del Leoncavallo. L’associazione aveva infatti presentato una manifestazione di interesse per un immobile situato in via San Dionigi. Questo passo, seppur non conclusivo, ha rappresentato un’importante novità: per la prima volta si discuteva apertamente di una possibile ricollocazione del centro, un’opzione che avrebbe potuto rappresentare un compromesso tra le istanze legali dei proprietari e la necessità di preservare un’esperienza socio-culturale che, al di là della sua condizione di illegalità, ha svolto un ruolo significativo nel tessuto cittadino. La prospettiva di un trasferimento volontario, pur non essendosi concretizzata in tempo per evitare lo sfratto, testimonia la complessità e la stratificazione di una vicenda che va ben oltre la semplice esecuzione di un ordine giudiziario.

L’esecuzione dello sfratto solleva ora interrogativi cruciali sul futuro del centro sociale Leoncavallo e, più in generale, sul destino dei centri sociali in Italia. Per i suoi sostenitori, il Leoncavallo è stato molto più di un semplice luogo di occupazione: è stato un laboratorio di idee, un presidio di resistenza culturale e un punto di aggregazione per la cittadinanza. Ha ospitato concerti, dibattiti, mostre d’arte, iniziative di solidarietà e corsi di formazione, contribuendo a dare una voce e uno spazio a realtà altrimenti marginali. D’altro canto, per le istituzioni e i proprietari, ha rappresentato un caso di illegalità protratta nel tempo, un’occupazione abusiva che ha impedito lo sfruttamento legittimo di una proprietà privata. L’intervento odierno, pur mettendo un punto fermo sulla questione legale, non cancella il dibattito sul ruolo di questi spazi nella società contemporanea. La domanda che rimane aperta è se l’esperienza del Leoncavallo possa trovare una nuova forma, magari in una sede legale e con una rinnovata collaborazione con le istituzioni, o se il suo sgombero segnerà la fine di un’era. La sua eredità, fatta di attivismo, cultura e conflitto, continuerà a essere oggetto di analisi e discussione per molto tempo a venire.

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