
Una forte scossa di terremoto è stata registrata nella tarda serata di ieri nello Stretto di Drake, il tratto di oceano che separa il Sudamerica dall’Antartide. Il sisma, di magnitudo 7.1, si è verificato alle 23:16 ora locale (le 4:16 in Italia), con ipocentro molto superficiale a soli 5 chilometri di profondità.
L’epicentro è stato localizzato a circa 700 chilometri a sud della Terra del fuoco, secondo quanto comunicato dall’Ingv e dal servizio geologico statunitense Usgs. La profondità ridotta ha reso il terremoto particolarmente intenso, ma nonostante la potenza non risultano al momento danni a persone o cose.
In un primo momento era stata diramata un’allerta tsunami, poi rapidamente revocata. Le autorità locali e i centri di monitoraggio hanno confermato che non vi è rischio per le coste più vicine. Lo Stretto di Drake, caratterizzato da condizioni marine già di per sé estreme, resta comunque sotto osservazione per eventuali repliche.
L’area è tra le più instabili dal punto di vista sismico e geologico, poiché rappresenta una zona di incontro tra diverse placche tettoniche, tra cui quella sudamericana e quella antartica. In passato altre scosse di magnitudo significativa sono state registrate nel settore meridionale dell’oceano Atlantico, ma raramente hanno provocato conseguenze a terra proprio per la lontananza dai centri abitati.
Il confronto con gli eventi recenti del continente sudamericano aiuta a capire la portata del fenomeno. Nel 2010 un terremoto di magnitudo 8.8 devastò il Cile, causando centinaia di vittime e uno tsunami che colpì duramente le coste del Pacifico. Nel 2015, ancora in Cile, un sisma di magnitudo 8.3 spinse le autorità a evacuare milioni di persone dalle zone costiere. Più di recente, nel 2021, un terremoto di magnitudo 6.9 colpì il nord-ovest dell’Argentina, senza però provocare danni gravi.
Rispetto a questi precedenti, il sisma nello Stretto di Drake, pur essendo molto forte, non ha avuto conseguenze per la sua collocazione in mare aperto, lontano dai centri abitati. Resta comunque un segnale della continua attività delle faglie sudamericane, che fanno di questa parte del mondo una delle più esposte al rischio sismico e tsunami.