
La vicenda della tragica scomparsa di Giovanni Marchionni, il giovane di Bacoli ritrovato senza vita a bordo di un’imbarcazione a Portisco, continua a rappresentare un enigma. Le indagini, complesse e meticolose, mirano a svelare le cause di un decesso che, al momento, appare privo di una spiegazione chiara e definitiva.
I recenti rilievi tecnici condotti sull’imbarcazione hanno aggiunto ulteriori tasselli, pur senza risolvere il mistero di fondo, alimentando l’alone di incertezza che circonda l’intera vicenda.
Le indagini sull’imbarcazione
Per oltre quattro ore, gli esperti hanno passato al setaccio ogni angolo dell’imbarcazione ormeggiata nella Marina di Olbia. L’attenzione si è focalizzata in particolare sulla possibilità di fuoriuscite di sostanze tossiche, che avrebbero potuto causare il decesso del 21enne. Un’ipotesi, questa, che sin dall’inizio è stata presa in seria considerazione dagli inquirenti e dai periti tecnici. Sono state ispezionate le sei batterie di servizio, situate al centro dell’imbarcazione, che sono risultate tutte in perfetto stato. Successivamente, il controllo si è esteso alle batterie posizionate nel vano motore, un’altra potenziale fonte di pericoli.
Il mistero del monossido di carbonio
Uno degli elementi più enigmatici emersi durante le indagini è la testimonianza di alcune persone che hanno riferito di aver percepito un odore simile a quello di “uova marce”, una caratteristica spesso associata alla presenza di monossido di carbonio. Questo gas, inodore e incolore, è notoriamente insidioso. Tuttavia, come sottolineato dall’avvocato Giampaolo Murrighile, rappresentante dei proprietari dell’imbarcazione, le verifiche tecniche non hanno evidenziato alcuna traccia di perdite o di esalazioni tossiche. L’assenza di prove concrete che supportino l’ipotesi dell’avvelenamento da monossido di carbonio rende la sua eventuale responsabilità nel decesso di Marchionni altamente improbabile.
A rendere ulteriormente debole questa teoria vi è un’altra considerazione tecnica di notevole importanza. Il monossido di carbonio, essendo un gas più pesante dell’aria, tende a depositarsi verso il basso. La stanza in cui è stato ritrovato il corpo di Giovanni, invece, si trovava nella parte alta e in un’area dell’imbarcazione lontana da dove sono posizionate le batterie e i motori. Questa dinamica rende difficile ipotizzare che il gas abbia potuto raggiungere la cabina del ragazzo in concentrazioni letali, a meno di meccanismi di diffusione complessi e al momento non rilevati.
La richiesta di verità e i prossimi passi
Nonostante le difficoltà e le apparenti contraddizioni, la ricerca della verità prosegue senza sosta. L’avvocato Murrighile ha ribadito l’impegno dei proprietari della barca nel collaborare pienamente con le autorità, spingendo affinché le indagini portino a un accertamento definitivo delle cause della morte. I prossimi passi sono già stati programmati e prevedono ulteriori e cruciali accertamenti. Mercoledì prossimo si svolgeranno altri rilievi tecnici, questa volta con i motori dell’imbarcazione in funzione. Questa fase investigativa sarà fondamentale per simulare le condizioni operative e verificare se, durante il normale utilizzo, si possano generare o diffondere sostanze pericolose. L’esito di questa perizia potrebbe fornire risposte decisive, o, in alternativa, aggiungere un ulteriore livello di complessità a un caso già di per sé molto delicato e misterioso.