
Il caso Garlasco e le nuove prospettive sull’omicidio di Chiara Poggi si stanno arricchendo di dettagli che rimettono in discussione la narrativa dominante. Il testo che hai fornito solleva un punto cruciale, ovvero la presenza di un DNA femminile sconosciuto sulla scena del crimine, un elemento che, se confermato e analizzato a fondo, potrebbe aprire scenari completamente nuovi e in linea con l’ipotesi di un concorso di persone nell’omicidio.
La controversa nuova indagine
La riapertura dell’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi, che ha visto la condanna definitiva di Alberto Stasi, è stata accolta con grande scetticismo da parte di chi ritiene che la giustizia abbia già fatto il suo corso. L’accusa mossa dalla Procura di Pavia nei confronti di Andrea Sempio, accusato di concorso in omicidio, rappresenta il perno di questa nuova fase investigativa. I detrattori sostengono che non vi siano prove a supporto dell’ipotesi di altri complici e che l’attenzione su Sempio sia un tentativo di scagionare Stasi. Tuttavia, la narrazione che la villetta di via Pascoli non contenesse tracce di altri individui è smentita da diversi elementi, sia emersi di recente che ripescati dagli atti dell’inchiesta originaria. La nuova indagine non si basa su mere congetture, ma su una rilettura e un’analisi più approfondita di materiale probatorio già esistente, un lavoro che sta riportando alla luce dettagli che, all’epoca, non furono forse valorizzati a sufficienza.
L’importanza del DNA femminile sconosciuto
Uno degli elementi più significativi e, al contempo, più trascurati, è appunto il profilo genetico di una donna che non è Chiara Poggi. Questo DNA è stato rinvenuto in punti strategici della casa, luoghi che suggeriscono un contatto diretto con l’assassino o con le dinamiche dell’omicidio. In particolare, il materiale genetico è stato isolato:
- Sul pomello della porta a soffietto della cantina: la cantina è il luogo dove è stato trovato il corpo di Chiara, gettato dopo l’uccisione. La presenza di un DNA femminile su questo pomello implica che una donna sia entrata in contatto con l’ingresso della scena del delitto.
- Sulla leva del miscelatore del rubinetto del lavabo del bagno: questo è il luogo dove, secondo la ricostruzione processuale, Alberto Stasi si sarebbe ripulito dal sangue. La traccia di una donna qui potrebbe indicare che qualcun altro si è lavato le mani, o che una complice ha aiutato Stasi a ripulirsi.
- Sulla maniglia interna del portone d’ingresso: la presenza di questo DNA qui, in prossimità di un’impronta lasciata da uno degli aggressori, suggerisce una fuga o un’interazione con l’uscita dalla casa da parte di una persona di sesso femminile.
La relazione del RIS di Parma del 2007, a pagina 145, classifica chiaramente i profili genetici. Sebbene il DNA non fosse idoneo per un’identificazione completa a causa di un numero insufficiente di marcatori, il dato è inequivocabile: quel profilo non appartiene alla vittima. Il fatto che all’epoca non sia stato comparato con i tamponi salivari di tutte le donne che frequentavano la casa di Chiara è un punto di criticità che oggi viene messo in evidenza. Questo avrebbe potuto, per esclusione, restringere il campo degli indiziati e fornire una direzione investigativa che, per qualche ragione, non è stata percorsa.

La complessità del quadro probatorio e la rilettura degli atti
L’elemento del DNA femminile non è un dato isolato, ma si inserisce in un quadro probatorio che, secondo i sostenitori della riapertura, merita un’attenta revisione. La difesa di Stasi e la nuova inchiesta puntano a dimostrare che la villetta di Garlasco era in realtà un complesso palcoscenico di tracce e indizi che indicano la presenza di più persone, oltre alla vittima e all’assassino (o agli assassini). L’idea che Alberto Stasi abbia agito da solo è, per molti, insostenibile a fronte di una scena del crimine così complessa. L’aggressione, il trascinamento del corpo, la pulizia e la messa in scena finale richiedono una coordinazione e una forza fisica che rendono plausibile l’intervento di più individui.
La rilettura delle migliaia di pagine dell’inchiesta originaria sta portando a galla dettagli che non furono considerati cruciali nel primo processo. L’analisi del DNA, in particolare, è una scienza che si è evoluta enormemente dal 2007, e ciò che all’epoca poteva essere un profilo “non caratterizzabile”, oggi potrebbe fornire informazioni più precise, anche se non sufficienti per una completa identificazione. La possibilità di comparare quel DNA con quello di persone finora non indagate, o di riesaminare i tamponi salivari già raccolti, offre una concreta speranza di gettare nuova luce sul delitto.
In conclusione, la presenza di questo DNA femminile sconosciuto non è solo un dettaglio marginale, ma una prova materiale che rafforza l’ipotesi del concorso in omicidio e che sfida apertamente la tesi del delitto solitario. La speranza, per chi sostiene la necessità di questa nuova indagine, è che finalmente si possa fare piena luce su tutti gli aspetti ancora oscuri di uno dei casi di cronaca nera più complessi e controversi d’Italia.