
Dopo lo sgombero del Leoncavallo a Milano, il tema degli sgomberi dei centri sociali torna sotto i riflettori. Al Meeting di Rimini, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato senza mezzi termini, e ha azzardato un confronto che ha scatenato polemiche feroci.
Piantedosi, infatti, ha comparato il Leoncavallo a CasaPound, affermando che anche la sede storica degli estremisti di destra potrebbe essere presto sgomberata dalle Forze dell’Ordine. L’ex prefetto di Roma ha ricordato di aver già inserito il centro neofascista nella lista dei luoghi da sgomberare, sottolineando come tempi e modalità siano ancora da definire.
Posizioni divergenti sulla legalità dei centri
Piantedosi ha precisato le proprie dichiarazioni facendo riferimento alle parole del collega Alessandro Giuli, ministro della Cultura, che in precedenza aveva affermato: “Se CasaPound rientra nella legalità non va sgomberata“. Il titolare del Viminale ha osservato che legalizzazioni e acquisizioni di strutture da parte di comuni sono già avvenute in passato, ma non cambiano la natura della valutazione.

“Credo abbia detto che se si legalizza in qualche modo, potrebbe non essere sgomberato. È successo già ad altri centri, il Comune di Roma ha comprato addirittura delle strutture per renderle legali e per poi assegnarle, è successo anche in altre città“.
L’intervento di Laura Boldrini
Le parole di Piantedosi hanno subito scatenato le polemiche. Sulla questione è intervenuta anche l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, che ha puntato il dito contro l’occupazione romana da parte dei neofascisti: “L’unico sgombero di cui il governo e il ministro dell’Interno devono occuparsi è quello dello stabile di Roma occupato illegalmente dai neofascisti di CasaPound. Non certo il Leoncavallo, per il quale, tra l’altro, si stava già definendo un’altra soluzione”.
Il dibattito si concentra quindi sul bilanciamento tra legalità e politica degli sgomberi e destinazione di spazi d’incontro anche alle voci più alternative del panorama sociale. E, naturalmente, la parte più dura della polemica riguarda il confronto fra gli “alternativi” del Leonka e un gruppo organizzato e neofascista come quello di Casa Pound a Roma.