
Nel cuore delle maestose e inaccessibili vette del Kirghizistan, una drammatica odissea alpinistica si è conclusa con una scelta amara e controversa da parte delle autorità locali, segnando la fine di un’operazione di soccorso internazionale complessa e tecnicamente audace.
La vicenda, che ha tenuto con il fiato sospeso la comunità alpinistica e non solo, ha visto protagonisti un team di esperti soccorritori italiani, la cui missione di recuperare i corpi dell’alpinista russa Natalia Nagovitsyna e del connazionale Luca Sinigaglia è stata bruscamente interrotta. La decisione del ministero delle Emergenze del Kirghizistan di revocare l’autorizzazione al volo di soccorso ha sollevato un velo di profonda frustrazione e interrogativi, specialmente considerando le complesse procedure e le significative risorse che avevano reso possibile l’avvio delle operazioni.
La cronologia di un’operazione complessa
La vicenda ha inizio con la scomparsa di Natalia Nagovitsyna, bloccata a circa 7000 metri di altitudine sul Picco della Vittoria per oltre due settimane, in seguito a una frattura a una gamba. La sua situazione disperata aveva mobilitato un’intera comunità, e l’alpinista italiano Luca Sinigaglia aveva tentato di portarle soccorso, perdendo purtroppo la vita a sua volta il 15 agosto a 6.800 metri a causa di un edema cerebrale. La tragica scomparsa di Sinigaglia, che aveva sacrificato la propria vita per un’amica e collega, ha aggiunto un elemento di forte drammaticità e urgenza alla situazione. Di fronte a questo scenario, l’agenzia kirghisa AK-SAI, leader nelle spedizioni di alta quota, ha attivato un’operazione di soccorso internazionale. Il 21 agosto, meno di 24 ore dopo l’allarme, un team di professionisti di comprovata esperienza è stato mobilitato e inviato nel paese dell’Asia Centrale. Il gruppo era composto da figure di altissimo livello: Manuel Munari, pilota e leader del team di salvataggio, Marco Sottile, pilota in comando, e la guida alpina Michele Cucchi, soccorritore d’alta quota. La loro esperienza, maturata in scenari estremi come l’Himalaya e il Karakorum, offriva le migliori garanzie per una missione di tale complessità.
La pianificazione e le difficoltà burocratiche
L’operazione non era priva di ostacoli, soprattutto a livello burocratico. Per settimane, il team e le istituzioni coinvolte, tra cui il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano, hanno lavorato incessantemente per ottenere le necessarie autorizzazioni. La Farnesina ha avuto un ruolo cruciale, impegnandosi direttamente per sbloccare la situazione e ottenere il via libera per l’utilizzo di un elicottero specializzato, un Airbus H125, in grado di operare ad altitudini estreme. Solo il 24 agosto, dopo un’intensa attività diplomatica e burocratica, l’autorizzazione è stata finalmente concessa.
Questo passo cruciale ha permesso al team di spostarsi con l’elicottero da Bishkek al campo base di Karkara, a un passo dalle vette. Qui, la squadra ha effettuato un volo di prova a 5000 metri, testando procedure e integrando risorse locali, come il dronista kazako Andrey Maglevanyy e il pluripremiato alpinista russo Alexander Semenov. Al campo base, tutto era pronto per l’operazione: l’elicottero H125 con le attrezzature specialistiche (ossigeno, sistemi GPS, ecc.) e un elicottero Mil-8 di supporto. Le condizioni meteo, che in precedenza avevano bloccato le ricerche (il 23 agosto erano state sospese a causa di un drastico peggioramento, con temperature notturne che raggiungevano i -30°C e forti raffiche di vento), erano migliorate, e il decollo era stato fissato per le 5:28 del 25 agosto.
La revoca improvvisa e il rientro
Quando tutto sembrava pronto e l’operazione stava per entrare nella sua fase esecutiva, è arrivata la doccia fredda. Nella notte tra il 24 e il 25 agosto, a sorpresa, il ministero delle Emergenze del Kirghizistan ha ritirato l’autorizzazione al volo. La motivazione ufficiale, comunicata senza preavviso, è stata la dichiarazione della morte di Natalia Nagovitsyna, con la conseguente decisione di considerare non più necessaria l’evacuazione del suo corpo. Questa decisione, però, ha ignorato un altro punto fondamentale della missione: il recupero del corpo dell’alpinista italiano Luca Sinigaglia, richiesto dalle autorità italiane.
Al momento, non è stata fornita alcuna comunicazione ufficiale in merito al recupero della salma del connazionale. La revoca del permesso, definita come un gesto improvviso e inspiegabile, ha di fatto vanificato l’enorme sforzo organizzativo, tecnico ed economico messo in campo da tutte le parti coinvolte. Il team di soccorso italiano, dopo aver atteso invano il via libera, ha dovuto fare rientro a Bishkek in elicottero, per poi organizzare il volo di ritorno in Italia. La conclusione di questa vicenda lascia un profondo senso di impotenza e frustrazione, con il rammarico per un’operazione che, dopo aver superato innumerevoli ostacoli, è stata fermata a un passo dal suo epilogo.