
Un caso senza precedenti negli Stati Uniti ha fatto scattare l’allerta sanitaria: il 4 agosto in Maryland è stato diagnosticato il primo contagio umano da Cochliomyia hominivorax, meglio conosciuta come “mosca assassina”. Si tratta di un parassita i cui stadi larvali si nutrono di tessuti vivi, con potenziali conseguenze gravi sia per la salute pubblica che per il settore zootecnico. Il paziente, rientrato da un viaggio in America Centrale, è stato curato ed è ora fuori pericolo.
Questa specie, endemica in Centro America e Caraibi, è nota per le femmine che depongono le uova nelle ferite degli animali a sangue caldo. Una volta schiuse, le larve penetrano e divorano i tessuti vivi con bocche seghettate, provocando infezioni dolorose e potenzialmente letali.
Le autorità americane hanno subito rassicurato: secondo l’HHS (Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani) il rischio per la popolazione resta “molto basso”, ma il monitoraggio è costante. L’allarme resta alto perché già a luglio il Messico aveva segnalato un’infestazione a soli 600 km dal confine texano, con conseguente blocco del commercio di bovini.
Le conseguenze economiche di un’eventuale diffusione sarebbero pesantissime: il Dipartimento dell’Agricoltura stima danni per 1,8 miliardi di dollari solo in Texas, tra perdita di bestiame, cure mediche e costi di contenimento.
Per prevenire un’epidemia, la Segretaria all’Agricoltura Brooke L. Rollins ha annunciato un piano quinquennale che prevede il rilascio aereo di miliardi di mosche maschio sterilizzate, una strategia già vincente negli anni Sessanta, in grado di portare al collasso riproduttivo del parassita.
Il trattamento negli esseri umani è complesso e richiede la rimozione manuale delle larve e la disinfezione profonda delle ferite, ma se diagnosticata precocemente l’infezione è curabile. Questo primo contagio americano resta comunque un campanello d’allarme, che evidenzia l’urgenza di rafforzare i sistemi di sorveglianza sanitaria contro le malattie parassitarie emergenti.