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Scossone pensioni, la notizia appena arrivata: il nuovo piano del governo, è svolta

Pubblicato: 26/08/2025 11:55

Nel fervido dibattito sulla riforma delle pensioni, che anticipa la manovra di Bilancio del 2026, una delle proposte più audaci e controverse è emersa dal sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. La sua iniziativa, portata avanti anche in rappresentanza della Lega, mira a fornire una nuova opzione per l’uscita anticipata dal mondo del lavoro, ma solleva questioni complesse sul ruolo del Tfr (Trattamento di Fine Rapporto) e sul costo che i lavoratori potrebbero trovarsi a sostenere.

L’idea principale è quella di consentire ai lavoratori di accedere alla pensione a 64 anni, anziché 67, utilizzando il proprio Tfr come parte integrante del calcolo della rendita pensionistica, a scapito della tradizionale liquidazione. Questa proposta, sebbene ancora in fase embrionale e non quantificata nei suoi costi precisi, ha già acceso un’accesa discussione tra sindacati, partiti politici e addetti ai lavori. L’obiettivo dichiarato è quello di ampliare la platea dei beneficiari, includendo anche i lavoratori nel cosiddetto sistema misto, ovvero coloro che hanno iniziato a versare contributi prima del 1995.

La proposta Durigon: come funzionerebbe

Attualmente, l’accesso alla pensione a 64 anni è riservato ai lavoratori nel sistema contributivo, cioè a coloro che hanno iniziato a versare contributi dopo il 1995. Per poter usufruire di questa opzione, è necessario aver maturato un assegno pensionistico pari ad almeno tre volte l’assegno sociale, una soglia fissata a 1.616 euro. Fino ad oggi, per raggiungere tale importo, è possibile sommare alla pensione maturata presso l’INPS anche la rendita derivante da un eventuale fondo di previdenza complementare.

La proposta di Durigon rivoluzionerebbe questo meccanismo, introducendo la possibilità di includere nel calcolo anche il Tfr accumulato presso l’INPS. Ciò riguarderebbe i lavoratori impiegati in aziende con almeno 50 dipendenti, poiché in quelle di dimensioni inferiori l’accantonamento del Tfr rimane in azienda. Il Trattamento di Fine Rapporto, in questo scenario, verrebbe trasformato in una rendita, con una tassazione agevolata simile a quella applicata ai fondi pensione. In questo modo, anche i lavoratori con un percorso lavorativo più lungo, che rientrano nel sistema misto, potrebbero avere la possibilità di accedere alla pensione a 64 anni. Tuttavia, per loro, il calcolo della pensione verrebbe effettuato interamente con il più rigido sistema contributivo, un aspetto che ha suscitato non poche critiche. Nonostante i dubbi sui costi e sulle coperture finanziarie, il sottosegretario ha assicurato che la proposta sarebbe sostenibile per i bilanci statali.

Le voci contrarie e le criticità sollevate

L’idea di utilizzare il Tfr per finanziare l’uscita anticipata ha scatenato una reazione in gran parte negativa. I sindacati hanno espresso forte dissenso. La Cgil ha sostenuto che l’utilizzo del Tfr farebbe ricadere sui lavoratori stessi il costo della pensione anticipata, definendo il Tfr come “salario differito” e un diritto acquisito. La segretaria della Cisl, Daniela Fumarola, ha invitato a evitare “fughe in avanti”, sottolineando la necessità di un dialogo e di un accordo con le parti sociali. Le opposizioni politiche hanno rincarato la dose. Arturo Scotto, del Partito Democratico, ha chiesto al governo di fornire chiarimenti in aula, accusando la proposta di omettere il fatto che il Tfr è, a tutti gli effetti, denaro dei lavoratori. Il Movimento 5 Stelle ha parlato di una “doppia penalizzazione” per i lavoratori, che perderebbero la liquidazione e vedrebbero il loro assegno calcolato interamente con il sistema contributivo, potenzialmente meno vantaggioso. Anche l’Alleanza Verdi-Sinistra si è schierata contro l’iniziativa, evidenziando un fronte di opposizione compatto e trasversale.

I punti fermi e le altre ipotesi in campo

Mentre il dibattito sul Tfr infuria, altri aspetti della riforma delle pensioni sembrano già avere un percorso più definito. Un punto considerato quasi certo, come confermato più volte dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è la sospensione dell’aumento automatico dell’età pensionabile che avrebbe dovuto scattare nel 2027. Questo significa che l’accesso alla pensione di vecchiaia continuerà a essere a 67 anni e quella anticipata a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne), indipendentemente dall’incremento della speranza di vita. Un’altra misura che con ogni probabilità verrà confermata per il 2026 è il cosiddetto bonus Giorgetti, un incentivo fiscale che premia i lavoratori che, pur avendo maturato i requisiti per la pensione anticipata, scelgono di restare in attività. Il bonus consiste nel versamento in busta paga del 9,19% dei contributi INPS a carico del lavoratore, una somma esentasse.

Viceversa, le prospettive di proroga per misure come Quota 103 sono molto scarse, a causa del suo scarso successo e della stretta sui requisiti che ne ha limitato l’accesso. Anche Opzione Donna, altra misura che ha incontrato una richiesta limitata, potrebbe subire una revisione e una correzione. Tutte le proposte, prima di diventare legge, dovranno superare il vaglio rigoroso della Ragioneria dello Stato, che ne valuterà la sostenibilità finanziaria. Solo la sospensione dell’aumento dell’età pensionabile, ad esempio, richiederà una copertura di circa un miliardo di euro, a testimonianza della complessità e dell’onere economico di ogni modifica al sistema previdenziale.

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