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David Parenzo su tutte le furie per la decisione su Israele: “È come nel ’38”

Pubblicato: 27/08/2025 11:09

«Artisti che chiedono di boicottare altri artisti? È raccapricciante, roba da leggi razziali del ‘38». Queste parole pronunciate da David Parenzo, noto giornalista e conduttore, risuonano come una ferma condanna nei confronti della richiesta di Venice 4 Palestine di escludere dalla Mostra del Cinema di Venezia due attori, Gal Gadot e Gerard Butler.

Il motivo addotto? Essere considerati troppo filo-Netanyahu e sostenitori di un presunto «genocidio». La posizione di Parenzo, ebreo e abituato a muoversi nel campo minato delle polemiche, è chiara: l’arte e la cultura non devono erigere muri, ma costruire ponti.

La strumentalizzazione dell’arte e della cultura

Parenzo bolla l’iniziativa come «scellerata», ribadendo che il mondo dell’arte e della cultura dovrebbe essere un veicolo di unione. A sostegno di questa tesi, cita l’esempio virtuoso del grande direttore d’orchestra Daniel Barenboim che, insieme al pensatore palestinese Edward Said, fondò nel 1999 la West-Eastern Divan Orchestra. Questa orchestra, composta da giovani musicisti israeliani, palestinesi e di altri Paesi arabi, rappresenta un potentissimo simbolo di dialogo e coesistenza. Parenzo sottolinea come l’arte, in casi come questo, diventi un terreno fertile per superare le divisioni e non per esacerbarle. In questo senso, il boicottaggio richiesto da Venice 4 Palestine si pone in antitesi con l’essenza stessa di ciò che la cultura dovrebbe rappresentare: un linguaggio universale capace di trascendere le barriere politiche e ideologiche.

Il caso di Gal Gadot

Parenzo si mostra particolarmente infastidito dalla scelta di prendere di mira specificamente Gal Gadot. «Ma sanno chi è Gal Gadot?», si chiede in tono retorico. E aggiunge una serie di dettagli biografici che sembrano voler demolire le accuse: Gal Gadot è nipote di una vittima dell’Olocausto, ha criticato Netanyahu durante la sua campagna elettorale e ha espresso solidarietà alle famiglie degli ostaggi israeliani. Pur sentendosi a disagio nel dover “difendere” l’attrice con la sua biografia, Parenzo lo fa per evidenziare l’ingiustizia e la superficialità di tali richieste. L’attacco a Gadot, a suo avviso, sembra ignorare la complessità della sua figura e la sua posizione, riducendola a un semplice simbolo politico da boicottare.

Andando oltre il caso specifico degli attori, Parenzo affronta la questione più ampia delle richieste avanzate da Venice 4 Palestine alla Biennale. Egli percepisce gli slogan pro-Pal come un mantra, spesso ripetuto senza una reale volontà di approfondimento. Se le richieste includono il rifiuto di Hamas e la promozione di due democrazie, Parenzo si dice d’accordo. Tuttavia, lamenta che in molti contesti pubblici si sia diffusa l’idea che non si possa esprimere dissenso o una posizione più sfumata senza essere automaticamente etichettati come sostenitori di Netanyahu. L’obiettivo, per Parenzo, non è la chiusura, ma l’apertura, il dialogo e la costruzione di ponti. Egli fa riferimento al presidente della Biennale di Venezia, Pietrangelo Buttafuoco, che si è espresso in favore di questa logica di confronto e non di scontro.

Il confronto personale e la parola «genocidio»

Parenzo, che sarà presente alla Mostra, si dice abituato alle contestazioni a causa del suo pensiero e della sua identità ebraica. Ricorda un episodio avvenuto all’Università La Sapienza di Roma, dove fu fischiato. A quei ragazzi, egli disse: «Discutiamo». Pur difendendo il diritto di contestare, ribadisce la sua ferma convinzione che bandire gli artisti sia un atto inaccettabile, che riporta alla mente le leggi razziali del ’38.

Infine, Parenzo si sofferma sull’uso della parola «genocidio». Sostiene che si tratti di un termine strumentalizzato e usato come un’arma contro gli ebrei. Il sottotesto, a suo avviso, è che gli ebrei, dopo aver subito la Shoah, stiano ora commettendo le stesse atrocità. Questa logica viene categoricamente rifiutata da Parenzo, che considera l’uso improprio di questa parola un modo per delegittimare l’esistenza stessa dello Stato di Israele e l’esperienza storica del popolo ebraico. La parola «genocidio», per lui, ha un significato storico preciso e il suo utilizzo improprio banalizza la tragedia della Shoah e alimenta un’accusa odiosa.

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Ultimo Aggiornamento: 27/08/2025 11:10

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