
Nel 2024, un ex ufficiale dell’esercito americano di stanza a Vicenza, il capitano Nicholas C. D., 40 anni, ha orchestrato un’operazione degna di un film d’azione per riportare in Italia il figlio di sei anni. Il bambino era stato portato in Romania due mesi prima dalla madre, la 47enne Roxana, che intendeva stabilirsi lì. La storia, complessa e drammatica, si snoda tra denunce, accuse incrociate e una decisione giudiziaria che ha ribaltato le sorti della custodia del piccolo.
Il piano di salvataggio
Per recuperare il figlio, Nicholas ha assemblato una squadra “speciale”. Ha ingaggiato un veterano dell’esercito britannico, Jay, esperto nel recupero di minori all’estero, e Fabrizio, il titolare di un’agenzia investigativa che ha subito inviato due detective in Romania. Infine, si è affidato a Giorgio, il suo istruttore di volo, per pilotare un aereo privato. L’operazione, soprannominata “Gardaland” dal padre in onore del parco divertimenti preferito dal bambino, è costata 40.000 euro. La missione è scattata il 30 luglio dell’anno precedente e l’epilogo è stato immortalato da una telecamera di sorveglianza a Bucarest. Nicholas ha aspettato il bambino all’angolo di una strada, lo ha preso sottobraccio e lo ha portato via, scappando con una Toyota ad alta velocità verso l’aeroporto di Ruse, in Bulgaria. Lì, il Piper pilotato dall’istruttore li attendeva per il rientro in Italia.
Le motivazioni del padre
Nicholas, che nel frattempo ha lasciato l’esercito per diventare avvocato, ha giustificato le sue azioni con la necessità di agire in fretta per il bene del figlio. Sostiene che il bambino stava già iniziando a non riconoscerlo più come padre. «Dovevo farlo. Per mio figlio, per il suo futuro. Se avessi aspettato troppo sarebbe stato sempre più difficile», ha dichiarato. L’uomo ha spiegato di aver agito in autonomia poiché non aveva ricevuto alcun aiuto dalle istituzioni, tra cui l’esercito, l’ambasciata americana e le autorità italiane. Secondo Nicholas, il bambino ora è felice in Italia, dove vive con lui e la sua nuova compagna e ha ripreso la scuola elementare.
La versione della madre
L’ex moglie, Roxana, ha una visione completamente diversa della vicenda. Dopo aver denunciato Nicholas alla polizia di Bucarest, si è trovata di fronte a un’impasse legale, dato che la giustizia rumena non poteva procedere contro un militare americano. Roxana sostiene di essere stata costretta a fuggire in Romania con il figlio perché, dopo la fine del loro matrimonio, si era trovata senza soldi, senza casa e senza lavoro. «Il tribunale italiano aveva deciso che nostro figlio vivesse con me nella nostra casa, dalla quale però ero stata sfrattata. Non avevo soldi, non avevo residenza e nessuno mi dava lavoro. Cosa potevo fare?», ha raccontato. La donna ha inoltre accusato Nicholas di avere un problema di alcolismo e di averla maltrattata, una versione che l’uomo nega categoricamente.
La sentenza del tribunale
La lunga battaglia legale ha raggiunto un punto di svolta il 17 luglio dell’anno precedente, quando il Tribunale di Vicenza ha emesso una sentenza che ha ribaltato la custodia. A seguito della fuga di Roxana, il giudice ha affidato il figlio «in via esclusiva e rafforzata al padre», stabilendo che il bambino vivesse in Italia con Nicholas e che l’uomo potesse prendere da solo le decisioni più importanti relative all’istruzione, all’educazione e alla salute del minore. È stata proprio questa decisione a dare a Nicholas la base legale per pianificare il recupero.
Attualmente, a Roxana è concesso di vedere il figlio solo una volta a settimana, in videochiamata e in presenza, sotto la supervisione degli assistenti sociali. La donna si strugge per questa situazione, sostenendo che un’ora a settimana non può bastare per una madre e che la giustizia dovrebbe agire contro Nicholas, che ha portato via il bambino senza documenti e con un aereo privato. Lui, d’altra parte, si sente giustificato dalla sentenza del tribunale. In mezzo a questa “guerra” tra gli ex coniugi, come l’ha definita il giornale, c’è il bambino, “sottratto due volte”, prima dalla madre e poi dal padre. La psicologa Barbara Bonomi, incaricata dal giudice di analizzare il caso, ha concluso che il bambino è esposto a una «spirale di invischiamento che lo espone a soddisfare le esigenze degli adulti, mentre gli adulti sono incapaci di comprendere le sue». Una conclusione che mette in luce la tragicità di un conflitto in cui, alla fine, a soffrire di più è proprio il piccolo.