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Ponte sullo Stretto, no Usa a inserimento in spese Nato: la figuraccia di Salvini

Pubblicato: 03/09/2025 13:25
Ponte Stretto Salvini Nato

Per settimane il ponte sullo Stretto di Messina è stato presentato dal governo come un’infrastruttura non solo strategica per l’Italia, ma potenzialmente utile anche per la sicurezza internazionale. Il vicepremier Matteo Salvini, convinto sostenitore dell’opera, aveva più volte sottolineato come la struttura potesse rientrare tra le spese militari considerate dalla Nato, sostenendo che l’uso multiplo, civile e di difesa, fosse “evidente, nelle cose”. Un messaggio chiaro, ribadito subito dopo la riunione del Cipess del 6 agosto che aveva dato il via libera al progetto.
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Le intenzioni del governo, però, si sono dovute scontrare con le prese di posizione degli alleati atlantici. Nelle ore successive a un’intervista rilasciata dall’ambasciatore Usa alla Nato Matthew Whitaker a Bloomberg, in cui veniva criticata ogni forma di “contabilità creativa” sulle spese militari, è arrivata la precisazione ufficiale del ministero delle Infrastrutture.

La marcia indietro del governo

Secondo la nota diffusa dal dicastero guidato da Salvini, l’opera da 13,5 miliardi di euro è “già interamente finanziata con risorse statali” e “non sono previsti fondi destinati alla Difesa”. Una formula che equivale a una vera e propria marcia indietro: “L’eventuale utilizzo di risorse Nato non è all’ordine del giorno e soprattutto non è una necessità irrinunciabile”, si legge nel documento.

La smentita stride con quanto sostenuto in primavera. Nell’Iropi – il report governativo sui “motivi imperativi di prevalente interesse pubblico” – il governo Meloni aveva indicato che il ponte si sarebbe “inserito perfettamente” nel Military Mobility Action Plan dell’Unione europea, rafforzando la capacità di spostamento rapido delle truppe e diventando “un’infrastruttura chiave” per il trasferimento delle forze Nato dal Nord Europa al Mediterraneo.

Le posizioni nella maggioranza

Non solo Salvini: anche altri esponenti di governo avevano spinto per una lettura “militare” del progetto. A luglio il sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco, rispondendo a un’interpellanza del deputato Angelo Bonelli (Avs), aveva confermato che “anche il ponte sullo Stretto potrebbe essere considerato coerente con le linee guida Nato ed europee in tema di sicurezza integrata e mobilità strategica”.

Pochi giorni più tardi, il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia Antonio Tajani aveva sostenuto che l’opera poteva “garantire la sicurezza” in un Paese in cui solo il 23% delle spese complessive della Difesa riguarda investimenti. “Se vogliamo un’Italia più sicura – aveva dichiarato – servono anche infrastrutture che consentano lo spostamento rapido dei cittadini”.

Le critiche dell’opposizione

La retromarcia non è passata inosservata. Il Movimento 5 Stelle ha parlato di un tentativo fallito di far rientrare il ponte tra gli investimenti militari strategici per raggiungere più facilmente l’obiettivo del 5% del Pil destinato alla difesa, promesso dalla premier Giorgia Meloni su pressione di Washington.

“La finanza creativa di questo governo ha trovato le porte chiuse dagli amici americani”, ha commentato la senatrice Ketty Damante, componente della commissione Bilancio. “È l’ennesima dimostrazione che non solo non si sa come coprire le assurde richieste di Trump, ma che l’Italia non è considerata un alleato affidabile”.

Secondo l’opposizione, il costo dell’opera ricadrà esclusivamente sui cittadini, sottraendo risorse a settori cruciali come sanità, istruzione e altre infrastrutture di maggiore utilità pubblica.

Un’opera al centro delle tensioni

Il ponte sullo Stretto di Messina, lungo 3,3 chilometri, continua dunque a rappresentare non solo una sfida ingegneristica, ma anche un nodo politico e diplomatico. Se per i sostenitori rimane un’infrastruttura essenziale per la modernizzazione del Paese, per i detrattori è un investimento sproporzionato, poco utile e rischioso, anche perché facile bersaglio in caso di conflitto.

La vicenda ha mostrato i limiti della strategia italiana nel cercare di legare un progetto interno a obiettivi militari internazionali. Dopo l’altolà statunitense, il governo è stato costretto a ridimensionare le proprie ambizioni, confermando che i 13,5 miliardi necessari arriveranno unicamente da fondi statali. Resta da vedere se questa correzione di rotta basterà a placare le polemiche interne e internazionali.

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