
Mentre a Kostiantynivka nove civili sono stati uccisi dai bombardamenti russi, Vladimir Putin ha scelto la vetrina cinese per rilanciare la sua narrativa di pace. Un copione già visto: il Cremlino tende la mano davanti alle telecamere, mentre sul campo i droni e l’artiglieria colpiscono case, strade, mercati. Il governatore del Donetsk, Vadym Filashkin, ha confermato il nuovo massacro, con almeno sette feriti, proprio nelle ore in cui il leader russo parlava di “luce in fondo al tunnel”.
L’invito a Mosca e la propaganda
Da Pechino, Putin ha dichiarato che sarebbe pronto a ricevere Zelensky a Mosca per un vertice, purché “ben preparato”. Parole che suonano più come una provocazione che come una reale apertura. Lo stesso presidente russo ha infatti precisato: “Ha senso incontrarlo?”. Una domanda retorica, che di fatto svuota di sostanza l’“invito” e ribadisce la volontà di Mosca di trattare solo a condizioni imposte.
Il leader del Cremlino alterna promesse di un dialogo “a livello politico molto alto” a minacce esplicite: “Se non arriveremo a un accordo, raggiungeremo i nostri obiettivi per vie militari”. È il solito doppio registro: la mano tesa davanti alla comunità internazionale e il pugno chiuso sui territori occupati.
Putin e il gioco delle parti
Il presidente russo insiste sul fatto che la Russia non combatterebbe “per il territorio”, ma per i diritti umani della popolazione russofona. Un ribaltamento della realtà che stride con i crateri lasciati dalle bombe a Kostiantynivka e Kupyansk, dove Mosca rivendica il controllo della metà della città. Allo stesso modo, Putin liquida le sanzioni occidentali come un “pretesto”, ignorando gli effetti devastanti di due anni di isolamento economico.
Il Cremlino, intanto, attacca chi osa criticarlo. Le parole del cancelliere tedesco Friedrich Merz, che ha definito Putin “forse il peggior criminale di guerra dei nostri tempi”, sono state respinte da Dmitri Peskov come “non meritevoli di considerazione”. Una reazione che conferma quanto il potere russo tema le definizioni che incrinano la sua legittimità sul piano internazionale.
La vera posta in gioco
Dietro l’“invito” a Mosca c’è un calcolo propagandistico: mostrare disponibilità al dialogo mentre si intensifica la pressione militare sul fronte. Un messaggio rivolto più a Donald Trump, che Putin ha elogiato come “sincero” nel cercare una soluzione, che all’Europa, considerata marginale e divisa.
Ma la realtà resta quella di nove corpi senza vita a Kostiantynivka. È in quel sangue, e non nei sorrisi di Pechino, che si misura la distanza tra le parole del Cremlino e la verità della guerra.