
Il caso di Garlasco torna al centro dell’attenzione dopo l’ultima puntata di Zona Bianca, andata in onda su Rete Quattro mercoledì 3 settembre. La trasmissione, guidata da Giuseppe Brindisi, ha affrontato con toni accesi temi di grande attualità, ma è stata proprio l’intricata vicenda giudiziaria a monopolizzare il dibattito, tra rivelazioni sconcertanti e interrogativi ancora aperti.
In studio, un parterre di ospiti d’eccezione: gli avvocati Massimo Lovati e Antonio De Rensis, rispettivamente difensori di Andrea Sempio e Alberto Stasi, il direttore di Gente Umberto Brindani, i giornalisti Rita Cavallaro e Stefano Zurlo, la criminologa Flaminia Bolzan, la magistrata Simonetta Matone e Ilaria Cavo. Il confronto si è acceso già dalle prime battute, quando Brindani ha ricordato i numerosi errori commessi nelle indagini: “Noi siamo arrivati a contare 60 errori nella vecchia indagine, ma in queste ore sta emergendo altro, e possiamo dire che sono anche 61”.
Nuove tecnologie, vecchi dati: verso l’udienza di ottobre

L’avvocato De Rensis ha sottolineato l’importanza delle nuove tecnologie applicate ai vecchi dati: “Sono in corso accertamenti, questa indiscrezione ha fondamento, potrebbero esserci dei dati ritenuti troppo grezzi all’epoca, non rilevabili, che oggi con tecnologia lo sono diventati, potremmo essere di fronte a dati nuovi, me lo ha detto un esperto, con tutti i condizionali del caso”. Un’attesa che si concentra ora sull’udienza del 24 ottobre, quando in aula saranno ascoltati gli esperti nominati dal giudice.
Il dibattito si è fatto ancora più acceso con l’intervento dell’avvocato Lovati, convinto dell’innocenza di Stasi e critico verso l’operato degli inquirenti: “Io ho avuto un incubo, ho sognato che i carabinieri mettevano del dna del mio assistito dentro il Fruttolo”, ha dichiarato, denunciando anche il mancato coinvolgimento nella richiesta delle impronte digitali del suo assistito: “Non mi fido più”.
Problemi nelle prove fotografiche e critiche al metodo investigativo

Rita Cavallaro ha portato alla luce problemi rilevanti sulle fotografie del sopralluogo: “Ci sono state importanti problematiche relative alle foto fatte sul luogo del delitto, perché nella loro numerazione dentro al fascicolo alcuni numeri saltavano, e scopriamo oggi dalle carte che il prof Giarda aveva sollevato la questione, e il pm ha dovuto ammettere che alcune foto il Ris le aveva cancellate, facendo altri sopralluoghi utilizzando la stessa macchina fotografica. Quindi oggi noi non sappiamo quali foto sono state selezionate e quali sono state consegnate per l’inchiesta, e questa è una cosa grave”.
Dure anche le parole di Simonetta Matone: “Purtroppo, il principio più violato in Italia dai pm è la ricerca degli elementi favorevoli all’indagato, un atteggiamento mentale diffuso ma grave perché altera il quadro di insieme. Le foto devono essere tutte a disposizione, perché altrimenti la scena del crimine risulta alterata a sfavore degli indagati”. Un’osservazione condivisa da Brindani, che ha parlato di tracce ignorate e indizi messi insieme in modo forzato.
Dna, tracce mancanti e il nodo dell’alibi


Ilaria Cavo ha evidenziato un punto chiave sul dna ritrovato sul pollice della vittima: “Abbiamo di fronte a noi una scena che non denota una reattività di Chiara nei confronti dell’assassino, ma molto più probabilmente una traccia da trascinamento”. Nel frattempo, Zurlo ha espresso rammarico per l’esclusione della cosiddetta traccia 33: “Il fatto che non ci siano le foto suscita amarezza, in tutte le indagini nei fascicoli si perde sempre qualcosa”.
La discussione si è conclusa con le parole dure della magistrata Matone: “La sentenza Cassazione si conclude con una frase gravissima, e cioè che l’omicidio di Chiara Poggi è un omicidio d’impeto, questo vuol dire che l’assassino, all’improvviso, ha preso qualcosa in casa per uccidere Chiara, ma da casa di Chiara Poggi non manca niente. Questo è un punto interrogativo grosso come una casa”. La magistrata ha messo in guardia dal rischio che i 23 minuti di buco dell’alibi di Stasi abbiano ribaltato principi fondamentali di diritto ed etica: “Si fa il contrario di quello che si dovrebbe fare dal punto di vista giuridico e dal punto di vista etico”.
Un caso ancora senza risposte
Ancora una volta, il caso Garlasco lascia il pubblico con più domande che risposte. Una vicenda che continua a dividere, tra errori investigativi, dubbi sulla gestione delle prove e una verità che sembra sempre più difficile da raggiungere. Un enigma che resta uno dei più controversi della cronaca italiana.