
Il cuore della festa, le luci accese che rompono una tradizione secolare, lo sconcerto della folla. Ieri sera, a Viterbo, la città ha vissuto uno dei momenti più delicati della sua storia recente. Il Trasporto della Macchina di Santa Rosa, evento identitario e patrimonio Unesco, si è svolto con le illuminazioni accese: una decisione presa per motivi di sicurezza, senza che alla folla venisse spiegato il motivo in tempo reale.
Poche ore prima, infatti, la Digos aveva arrestato due uomini di origine turca trovati con una mitragliatrice, pistole cariche e un piano dettagliato che lasciava presagire un massacro. Un terzo componente del commando è riuscito a fuggire. La scoperta ha indotto le autorità a modificare in corsa il tradizionale protocollo, evitando di divulgare notizie per non alimentare il panico tra le circa 40 mila persone presenti nel centro storico.
Il blitz e la pista turca
I due uomini erano alloggiati in un B\&B di via di Santa Rosa, proprio alla fine del percorso della Macchina, e secondo gli investigatori avevano pianificato di aprire il fuoco sulla folla. Dalla perquisizione sono emerse armi pronte all’uso, tra cui una mitragliatrice. Gli arrestati, incensurati in Italia, sarebbero legati alla rete criminale del boss turco Baris Boyun, già arrestato nel 2024 a Bagnaia. La polizia non esclude collegamenti con l’Isis-K, la cellula jihadista più radicale che in passato aveva minacciato attentati in Europa.
La sicurezza rafforzata
Per garantire la prosecuzione della festa, le autorità hanno dispiegato Nocs, cecchini sui tetti e unità cinofile antibomba. Il capofacchino Luigi Aspromonte ha annunciato il Trasporto a luci accese, salvo spegnerle a metà percorso per onorare la tradizione, ma senza menzionare pubblicamente il pericolo appena evitato.
Indagini in corso
Il blitz a Viterbo si inserisce in un filone investigativo già acceso: negli ultimi mesi l’antiterrorismo aveva seguito le tracce di altri affiliati alla mafia turca, tra cui Hasan Uzun, fermato in Svizzera e collegato alla stessa rete. Al carcere di Mammagialla, inoltre, si trovava un tunisino inserito nella lista dei 115 estremisti islamici espulsi dall’Italia, che faceva proselitismo tra i giovani detenuti nordafricani.
La Procura di Roma e i servizi segreti italiani continuano a indagare sui legami del commando turco con le reti jihadiste. Intanto, la comunità viterbese si interroga su quanto accaduto: una festa che doveva essere solo luce e devozione si è trasformata in un evento blindato, segnato dal timore di una strage sfiorata.