
La Norvegia si avvia a confermare un governo a guida laburista, secondo le prime proiezioni diffuse dalla televisione pubblica NRK. Il centrosinistra avrebbe ottenuto 89 seggi contro gli 80 del centrodestra, consolidando la posizione del premier uscente Jonas Gahr Støre, al potere dal 2021. Gli elettori sembrano aver scelto la continuità, in un contesto segnato da incertezze economiche e tensioni internazionali.
Sebbene il centrodestra avanzi rispetto alle ultime elezioni, non riesce a sfondare. Il dato più rilevante del voto è il boom del Partito del Progresso (FrP), formazione di destra radicale guidata da Sylvi Listhaug, già ribattezzata da Le Figaro la “Meloni del Nord”. Il suo partito raddoppia i consensi rispetto alla precedente tornata, ma lo fa a spese dei conservatori, crollati ai minimi storici.
Il Partito Conservatore, guidato dalla veterana Erna Solberg, non regge il confronto con la nuova leadership emergente. Listhaug, già ministra dell’Agricoltura nel 2013, è riuscita a catalizzare il malcontento popolare su temi come immigrazione e sicurezza, presentandosi con toni più duri e messaggi chiari. Nata nel 1977, come la premier italiana Giorgia Meloni, Listhaug è ora considerata la nuova forza trainante dell’opposizione norvegese.
Il primo ministro Støre, leader dei Laburisti, sembra invece avere la strada spianata per un secondo mandato, grazie anche all’effetto trainante dell’ex segretario della NATO Jens Stoltenberg, tornato da pochi mesi alla politica nazionale come ministro delle Finanze. Il suo appello in extremis a favore del partito ha avuto un impatto decisivo, secondo gli analisti locali. La stampa norvegese ha parlato di “Stoltenback”, celebrando il ritorno del popolare leader.

A giocare un ruolo cruciale nel voto sarebbero stati anche i temi economici: l’inflazione, il caro energia e i timori per un possibile ritorno di dazi americani in caso di nuova presidenza Trump. Ma ha pesato anche la minaccia della Russia, percepita come vicina e pericolosa. In questo clima di incertezza, molti elettori hanno scelto la stabilità.
Per formare un nuovo governo, Støre dovrà comunque negoziare con almeno altri quattro partiti del fronte progressista, tra cui i Verdi, i Socialisti di sinistra, il Partito di Centro e il piccolo ma combattivo “Potere Rosso”. Le trattative si annunciano complesse: su temi chiave come le trivellazioni petrolifere, i Laburisti vogliono proseguire con nuove concessioni, mentre Verdi e sinistra radicale chiedono un abbandono graduale.
Altra questione esplosiva: gli investimenti del fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo. Il partito Potere Rosso chiede di disinvestire da Israele, proposta che i Laburisti respingono con fermezza. La coesione della maggioranza sarà quindi una sfida politica oltre che programmatica.
La Norvegia, unica tra i Paesi scandinavi a mantenere un governo progressista, contrasta la tendenza regionale: in Svezia e Finlandia, infatti, sono attualmente al potere governi di centrodestra. In questo contesto, il risultato norvegese rappresenta una conferma in controtendenza, ma anche un segnale chiaro: la destra cresce, si radicalizza, ma non riesce ancora a convincere una maggioranza del Paese.