
Alla vigilia della nuova stagione influenzale, i dati diffusi dal ministero della Salute confermano che il rapporto degli italiani con il vaccino antinfluenzale resta complicato. Nella scorsa stagione, una delle più intense con circa 16 milioni di contagi, meno di un cittadino su cinque ha scelto la vaccinazione. Un dato che, seppur in lieve crescita, rimane distante dagli obiettivi fissati a livello nazionale.
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L’incremento rispetto all’anno precedente è minimo: dal 18,9% del 2023/2024 si è passati al 19,6% del 2024/2025, segno che la campagna vaccinale non è riuscita a incidere in maniera significativa. A pesare è soprattutto il basso livello di adesione tra gli anziani: il 47,5% degli over 65 ha ricevuto il vaccino, un numero ben lontano dal 75% richiesto dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale come soglia minima.
Le differenze regionali nelle coperture
Un altro elemento evidenziato dal report è il forte divario tra le regioni italiane. Toscana e Umbria registrano le percentuali più alte di cittadini vaccinati (22,6%), mentre Calabria e Provincia autonoma di Bolzano restano in fondo alla classifica con il 13,7% e l’11,1%.
La stessa distanza si osserva nelle coperture vaccinali degli anziani. L’Umbria guida la classifica con un 64,1% di over 65 vaccinati, mentre Bolzano si conferma fanalino di coda con appena il 33,4%. Questi dati mostrano chiaramente come il raggiungimento degli obiettivi fissati dal piano nazionale sia ancora lontano e come la campagna vaccinale debba affrontare difficoltà strutturali e culturali radicate.

Le nuove prospettive della ricerca
Dalla ricerca scientifica arrivano segnali che potrebbero aprire a nuove strategie di protezione. Uno studio condotto dal laboratorio di riferimento per l’influenza aviaria della China Agricultural University di Pechino, pubblicato su Pnas, ha individuato un meccanismo che spiega la maggiore vulnerabilità degli anziani al virus influenzale.
Secondo i ricercatori, negli individui più anziani si verifica una produzione anomala della proteina Apolipoproteina D (ApoD), che indebolisce la capacità del sistema immunitario di rispondere all’infezione. I test effettuati sui topi hanno dimostrato che riducendo la presenza di ApoD gli animali sviluppano una forma di influenza meno grave e hanno più possibilità di sopravvivere all’infezione.
L’ipotesi è quella di sviluppare farmaci mirati a questo bersaglio, con potenziali benefici non solo contro l’influenza stagionale ma anche contro altri virus respiratori, incluso il SarsCov2, responsabile del Covid-19.

L’influenza e la ripresa del Covid
La prospettiva di nuovi trattamenti arriva in un contesto in cui il virus influenzale non è l’unica minaccia sanitaria. Negli ultimi giorni, infatti, si è registrata una ripresa dei contagi da Covid in Italia. L’ultimo bollettino del ministero della Salute segnala 2.052 nuovi casi in una settimana, con un aumento del 47% rispetto al periodo precedente.
I decessi legati al Covid sono stati 8, in calo rispetto ai 10 della settimana prima, mentre non si osserva una crescita significativa della pressione ospedaliera. Il quadro rimane quindi sotto controllo, ma conferma la necessità di monitorare costantemente l’andamento delle infezioni.
Una sfida ancora aperta
Il quadro complessivo mette in luce due aspetti cruciali: da un lato, la persistente difficoltà dell’Italia a raggiungere livelli adeguati di copertura vaccinale antinfluenzale, soprattutto nella popolazione più anziana e fragile; dall’altro, la possibilità che la ricerca apra la strada a nuove soluzioni terapeutiche capaci di rafforzare la risposta immunitaria.
In attesa di questi sviluppi, la strategia principale resta quella della prevenzione tramite il vaccino, che continua a rappresentare lo strumento più efficace per contenere le conseguenze di un’epidemia influenzale in grado di colpire milioni di persone ogni anno.