
Da 48 ore la capitale del Nepal, Kathmandu, è teatro di una delle rivolte più violente della sua storia recente. Le immagini mostrano il Parlamento in fiamme, il palazzo del governo devastato e le residenze di ministri e leader politici ridotte in cenere. Tra queste, la casa del ministro degli Interni, quella dell’ex premier, la cui moglie è in fin di vita per le gravi ustioni, e l’abitazione del presidente Ram Chandra Poudel, costretto a dimettersi e a fuggire all’estero a bordo di un elicottero. Anche il premier in carica, travolto dall’onda di proteste, ha rassegnato le dimissioni.
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Nelle strade, migliaia di giovani hanno dato vita a manifestazioni che hanno rapidamente rovesciato l’esecutivo. Il bilancio della repressione è drammatico: 22 morti e oltre 400 feriti, secondo le fonti ospedaliere locali.
La voce della Gen Z nepalese
A guidare la protesta è stata quella che gli stessi manifestanti hanno definito la “voce della Gen Z nepalese”, composta in gran parte da ventenni. Il Paese, con 30 milioni di abitanti, è paralizzato da lunedì. Le nuove generazioni accusano il governo di corruzione e autoritarismo, rivendicando più trasparenza, diritti e un futuro libero da ingerenze politiche.
Le tensioni si sono accese intorno a due punti cruciali: la corruzione diffusa nel governo guidato fino a martedì da Khadga Prasad Sharma Oli, detto KP, e la legge varata a fine agosto che obbligava le piattaforme social a registrarsi presso il ministero delle Telecomunicazioni, pena il blocco.

La stretta sui social network
Il 4 settembre, data limite fissata dal governo, 26 piattaforme sono state oscurate: tra queste WhatsApp, YouTube, Facebook e Viber. Una misura che ha tagliato i collegamenti con i 2,5 milioni di nepalesi residenti all’estero, circa il 7,5% della popolazione. L’unica piattaforma rimasta attiva è stata TikTok, scelta legata ai rapporti privilegiati con la Cina. Proprio qui i giovani hanno organizzato la protesta, trasformando l’app in strumento di mobilitazione politica.
Lunedì mattina migliaia di studenti, molti ancora in uniforme scolastica, sono scesi in strada per manifestare pacificamente. Ma la situazione è degenerata con l’arrivo di gruppi infiltrati, descritti da testimoni come “motociclisti palestrati”, che hanno esasperato gli scontri.
La repressione violenta
La risposta delle forze dell’ordine è stata durissima. La polizia ha utilizzato idranti, proiettili di gomma e, secondo diverse ricostruzioni, anche armi da fuoco reali. La repressione ha alimentato la rabbia, portando agli assalti contro i palazzi istituzionali. L’odio popolare si è nutrito di anni di disuguaglianze: in un Paese dove il salario medio annuo è di 1.100 euro, lo scandalo legato all’acquisto di due jet Airbus da parte della compagnia di bandiera, definito una “mangiatoia” per politici e funzionari, ha rappresentato solo l’ennesima scintilla.
Sui social i giovani hanno diffuso immagini dei figli dei ministri intenti a ostentare lusso e privilegi, in netto contrasto con le condizioni di vita della maggioranza della popolazione. Una frattura che ha reso inevitabile l’esplosione della protesta.

La caduta del governo
Martedì sera il premier Oli, 73 anni, ha tentato una disperata manovra di recupero, riaprendo l’accesso ai social e convocando una riunione con i principali partiti. Ma l’incontro si è concluso con le dimissioni irrevocabili del capo del governo. L’esercito, dal canto suo, ha annunciato l’assunzione del controllo delle strade a partire dalle 22 locali, nel tentativo di ristabilire l’ordine.
Un’onda che travolge l’Asia meridionale
Le proteste in Nepal si inseriscono in un quadro più ampio di instabilità nell’Asia meridionale. In Bangladesh, nell’estate del 2024, una legge controversa e la corruzione diffusa hanno provocato una rivolta che ha causato oltre 1.400 vittime e la caduta del governo di Sheikh Hasina. In Sri Lanka, due anni fa, la dinastia Rajapaksa è stata costretta a lasciare il potere dopo settimane di scontri di piazza.
Gli osservatori internazionali seguono con attenzione l’evolversi della situazione nepalese. Il commissario Onu per i diritti umani Volker Türk ha esortato le autorità a garantire il rispetto degli standard internazionali e la libertà di manifestazione pacifica, avvertendo che la stabilità politica del Paese è a rischio.