
Un caso che ha scosso la Turchia e mobilitato l’opinione pubblica per mesi ha trovato una prima, drammatica conclusione in tribunale. La piccola Narin Güran, 8 anni, era scomparsa il 21 agosto 2024 subito dopo una lezione di Corano. Diciannove giorni dopo il suo corpo è stato ritrovato in un sacco, nascosto sotto alcune rocce in un torrente nei pressi di Diyarbakır, città natale della bambina.
Le indagini
Grazie all’analisi di telecamere e dati domestici, gli inquirenti hanno ristretto l’orario della morte tra le 15:18 e le 15:21 dello stesso giorno della scomparsa, collocando l’omicidio all’interno della casa di famiglia. Indizi importanti sono arrivati anche da un improvviso picco di consumo d’acqua e da tracce di lavaggi intensivi nell’abitazione subito dopo quell’orario.

L’Istituto di Medicina Legale di Istanbul ha stabilito che Narin è morta per asfissia, provocata dalla chiusura della bocca e del naso con contestuale pressione sul collo. Non sono state riscontrate ferite da taglio o da arma da fuoco. Non è stato invece possibile stabilire se vi siano stati abusi sessuali.
Gli arresti in famiglia
Le indagini hanno portato rapidamente a puntare i riflettori sui familiari della bambina. La madre, Yüksel Güran, il fratello Enes Güran e lo zio Salim Güran, capovillaggio, sono stati accusati di omicidio. Fondamentale una prova genetica: il DNA trovato sugli abiti di Narin coincideva con quello rinvenuto nell’auto dello zio.

Nel corso dell’inchiesta è emerso anche il ruolo di Nevzat Bahtiyar, vicino di casa, che ha ammesso di aver trasportato il corpo della bambina fino al torrente dietro compenso, ma ha negato ogni coinvolgimento nell’omicidio.
La sentenza
Il 29 dicembre 2024 l’Ottava Alta Corte Penale di Diyarbakır ha emesso una condanna esemplare: ergastolo aggravato per Yüksel, Enes e Salim Güran, ritenuti responsabili dell’omicidio premeditato della bambina. Bahtiyar è stato invece condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione per distruzione e occultamento di prove.
Un caso che divide
La corte non ha stabilito con certezza chi abbia materialmente provocato la morte della bambina, né ha individuato un movente definitivo. La vicenda resta dunque segnata da ombre e interrogativi irrisolti, mentre la comunità di Diyarbakır continua a chiedere giustizia.
Le proteste esplose dopo il ritrovamento del corpo e durante le prime udienze testimoniano quanto questo caso abbia colpito l’intero Paese. Ora la vicenda prosegue in Corte di Cassazione, ultimo passaggio della giustizia turca in uno dei processi più controversi e dolorosi degli ultimi anni.