
Il blitz russo con una ventina di droni ha messo a nudo le fragilità della difesa aerea atlantica. Secondo le stime più attendibili, soltanto quattro velivoli sono stati intercettati, mentre almeno quindici sono precipitati al suolo per esaurimento di carburante. Uno di essi è riuscito a penetrare nello spazio aereo polacco per quasi 300 chilometri, evidenziando le difficoltà della Nato di fronte a una guerra che ormai si combatte soprattutto con sistemi low cost.
Armi milionarie contro droni da 15mila euro
Il divario è impressionante. Un missile aria-aria lanciato da un F-16 polacco costa circa un milione di euro; un intercettore dei sistemi Patriot tedeschi supera i tre milioni. I droni russi Gerbera, invece, vengono prodotti con appena 10-15mila euro. «È come sparare a una mosca con un cannone», ha commentato l’ex generale polacco Jarosław Gromadziński, ricordando anche i rischi collaterali: le parti dei missili cadono a terra e possono colpire aree abitate.
Il ruolo dei radar e i limiti della sorveglianza
La rete di sorveglianza, che include un radar volante polacco e uno italiano, è riuscita a tracciare molti degli incursori. Ma distinguere i modelli rimane complicato: i droni Gerbera, simili ai kamikaze Shahed-Geran, spesso sono disarmati o usati per individuare le postazioni nemiche, mentre alcuni montano piccole cariche esplosive o telecamere di ricognizione. La loro lentezza (100-130 km/h) costringe i caccia supersonici ad adattarsi con manovre pericolose, motivo per cui sono stati mobilitati anche elicotteri.
Una prova generale prima della Zapad
Per i vertici Nato, l’operazione è stata un test deliberato da parte del Cremlino, condotto anche dal territorio bielorusso come preludio all’esercitazione Zapad (Occidente), culmine della cooperazione militare tra Putin e Lukashenko. Secondo la Bild, l’obiettivo era sondare la protezione dell’aeroporto di Rzeszów, hub cruciale per gli aiuti a Kiev. Il Financial Times sottolinea che il risultato è stato incoraggiante per Mosca: venti droni hanno messo in crisi lo schieramento atlantico.
La corsa agli scudi anti-droni
I russi producono oltre 3.000 Shahed-Geran al mese: dall’inizio dell’anno ne hanno lanciati quasi 36mila contro l’Ucraina. In Europa cresce la consapevolezza di dover correre ai ripari. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha parlato della necessità di un «muro di droni sulla frontiera orientale».
In Italia, il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, generale Antonio Conserva, ha illustrato un progetto in Parlamento: droni intercettori a controllo intelligenza artificiale, in grado di difendere automaticamente le infrastrutture critiche. «Se ci saranno le risorse possiamo riuscirci in tre anni», ha detto. Una prospettiva che delinea la nuova sfida dei cieli: robot guardiani contro robot d’attacco.