
Continuano le indagini sulla morte di una neonata avvenuta nel pomeriggio di venerdì 12 settembre in via Marmorata, nel quartiere Testaccio a Roma. La tragedia si è consumata all’interno di una struttura privata che promuoveva il parto non medicalizzato, privo di anestesia ed epidurale. Sul posto è intervenuta la polizia, e due ostetriche — tra cui la titolare del centro — sono state denunciate per la morte della piccola.
La struttura, chiamata “Il Nido”, operava da tempo nel seminterrato di un edificio al civico 169. Secondo quanto emerso, già in passato era stata al centro di segnalazioni e polemiche per le sue pratiche alternative al parto ospedaliero. Dopo la morte della neonata, i locali sono stati posti sotto sequestro su disposizione della Procura.
A far scattare le attenzioni delle forze dell’ordine sarebbe stata proprio una segnalazione partita da una residente della zona, testimone delle urla provenienti dallo stabile. «Sono anni che vedo e purtroppo sento situazioni al limite», ha raccontato in una testimonianza inviata alla scrittrice e attivista Francesca Bubba, poi riportata nella sua newsletter “Materno – lotta di classe, riflessioni e azioni collettive”.

Secondo il racconto, durante i parti si udivano urla prolungate e strazianti. Le finestre del seminterrato, dove avvenivano i travagli, erano coperte da tavole di legno, probabilmente per attutire i suoni. «Sono stravolta. Sentivo le urla della mamma», ha aggiunto la residente, scioccata dall’accaduto.
Non si tratta della prima volta in cui emergono critiche nei confronti del centro. Già nel 2021, la stessa Bubba aveva denunciato l’approccio ideologico della struttura, fondato su una profonda sfiducia verso la medicina e il personale ospedaliero. Un’impostazione che promuoveva il parto in casa anche in casi potenzialmente a rischio.
Le ostetriche del centro erano note per demonizzare l’anestesia e ogni forma di intervento sanitario durante il parto. Un’ex operatrice, sentita dall’attivista, ha raccontato che all’interno della struttura si descriveva la medicalizzazione come “il male supremo” e si incoraggiavano pratiche radicali, come l’allattamento esclusivo fino a sei anni e il rifiuto del passeggino in favore delle fasce porta bebè.
Anche il profilo Instagram della casa maternità, attualmente ancora visibile, testimonia l’ideologia promossa. In uno dei video pubblicati, una delle operatrici afferma: «Mamme, non vi serve il corso preparto. Dovete soltanto credere in voi stesse. Come dice la mia maglietta». Un messaggio che riflette l’impostazione del centro, dove l’autonomia della madre veniva spesso anteposta alla valutazione medica.
Intanto, la magistratura procede con gli accertamenti per chiarire le responsabilità dell’accaduto. Le due ostetriche denunciate potrebbero dover rispondere di omicidio colposo, ma le indagini sono ancora in corso per definire le dinamiche del parto e le condizioni in cui si trovava la madre al momento dell’emergenza.
La morte della neonata ha suscitato sconcerto e acceso un dibattito sul ruolo delle strutture private che promuovono parti non medicalizzati al di fuori degli ospedali, sollevando interrogativi sulla necessità di controlli più stringenti e sulla tutela della salute materno-infantile.