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Missili e droni, raffica di esplosioni: la guerra entra in una nuova fase e il mondo trema

Pubblicato: 14/09/2025 09:47

Un attacco condotto con droni ucraini ha colpito in profondità il territorio russo, prendendo di mira una raffineria di petrolio situata a Ufa, nella Repubblica del Bashkortostan, a circa 1.500 chilometri dal confine. Si tratta di uno degli attacchi più lontani mai registrati dall’inizio del conflitto, che segna un’evidente escalation sul fronte tecnologico della guerra.

Il bersaglio è stato la raffineria Bashneft-Novoyl, uno dei più importanti impianti petroliferi della Russia. L’azione, condotta tramite droni kamikaze, ha provocato diverse esplosioni e un vasto incendio che ha coinvolto infrastrutture critiche dello stabilimento. I danni segnalati riguardano in particolare una colonna a vuoto, componente centrale del processo di raffinazione.

L’attacco ha avuto conseguenze immediate anche sul territorio: il traffico aereo è stato sospeso all’aeroporto di Ufa e i servizi di internet mobile sono stati temporaneamente interrotti. Le autorità locali hanno emesso un’allerta per la minaccia droni e hanno avviato operazioni di contenimento dell’incendio.

Nel frattempo, la risposta russa si è concentrata sulla comunicazione dei numeri. Secondo il Ministero della Difesa, nella stessa notte sarebbero stati abbattuti 80 droni ucraini in diverse aree del Paese, comprese le regioni di Rostov, Bryansk e la zona del Mar d’Azov. Tuttavia, la crescente capacità ucraina di colpire in profondità dimostra una vulnerabilità crescente del dispositivo difensivo russo.

Parallelamente, a Kiev, durante una conferenza internazionale sulla strategia europea, è emersa una narrazione ormai consolidata: l’Ucraina ha conquistato una leadership tecnologica nel campo della guerra con i droni, superando per innovazione ed efficacia anche potenze come gli Stati Uniti. Il Paese ha infatti avviato una produzione su larga scala di droni per l’aria, la terra e il mare, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere le 30.000 unità a lungo raggio entro il 2025.

Questa industria, cresciuta rapidamente dall’inizio dell’invasione russa, si è trasformata in un asset strategico. Accordi di coproduzione con aziende estere e l’interesse di partner internazionali testimoniano come la tecnologia ucraina non sia solo efficace, ma anche potenzialmente esportabile, con contratti in discussione per decine di miliardi di dollari.

In netta contrapposizione, la Russia appare sempre più dipendente dalla Cina per le forniture militari e tecnologiche. Questo squilibrio ha rafforzato l’idea che Mosca, se privata del sostegno cinese, non riuscirebbe a sostenere a lungo il conflitto. Una condizione che rende ancora più evidente la fragilità strategica del Cremlino.

Sul piano internazionale, il sostegno all’Ucraina si è tradotto in nuove sanzioni mirate. Gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni a una trentina di aziende attive in Cina, Turchia, India e negli Emirati, accusate di aiutare la Russia ad aggirare gli embarghi esistenti fornendo tecnologie e componenti al settore militare russo.

Anche l’Europa si muove nella stessa direzione. Dalla Polonia è arrivata la richiesta esplicita ai membri della NATO di interrompere completamente le importazioni di petrolio russo. Varsavia ha ribadito il suo sostegno alle iniziative internazionali volte a isolare economicamente la Russia, nella convinzione che colpire le risorse energetiche del Paese sia uno dei pochi strumenti ancora efficaci per accelerare la fine del conflitto.

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