
Le prime luci dell’alba spesso portano con sé il silenzio e la calma, ma non sempre. In alcune mattine, eventi improvvisi trasformano la quiete in tensione, cambiando per sempre la vita di chi è coinvolto e di chi assiste. La routine quotidiana può spezzarsi in pochi minuti, lasciando dietro di sé domande, incredulità e dolore.
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Gli interventi delle forze dell’ordine sono spesso percepiti come gesti di protezione e sicurezza, ma a volte situazioni complesse mettono alla prova protocolli e strumenti, trasformando momenti di controllo in vere e proprie emergenze. L’uso di strumenti non letali, pensati per contenere senza ferire, può diventare determinante, con conseguenze imprevedibili.
L’episodio di Reggio Emilia
È successo questa mattina all’alba a Massenzatico, frazione di Reggio Emilia, dove un uomo di 41 anni – classe 1983 – ha perso la vita dopo essere stato colpito da una pistola taser durante un intervento delle forze dell’ordine. Secondo le prime ricostruzioni, la vittima si trovava in uno stato di grave alterazione psicofisica quando sono arrivate le pattuglie della Questura.
Gli agenti intervenuti hanno riferito che l’uomo avrebbe manifestato comportamenti aggressivi e creato una situazione di pericolo per chi era presente. Sul posto sono giunti anche i soccorsi della Croce Rossa, un’automedica e un’ambulanza della Croce Verde, ma nonostante l’immediato intervento sanitario la situazione è rapidamente degenerata.

L’intervento del taser e il decesso
Di fronte al comportamento ritenuto violento del 41enne, gli agenti hanno utilizzato il taser per immobilizzarlo. Dopo essere stato colpito, l’uomo è stato soccorso e trasportato d’urgenza all’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, dove le sue condizioni sono apparse sin da subito gravissime. Nonostante i tentativi di rianimazione e le cure ricevute, il 41enne è deceduto nelle prime ore della mattina.
La Procura della Repubblica di Reggio Emilia ha aperto un’inchiesta per chiarire tutti gli aspetti della vicenda, in particolare se l’uso del taser sia avvenuto secondo i protocolli previsti e se vi sia un nesso diretto tra l’arma elettrica e il decesso.

Il dibattito sull’uso del taser
L’episodio riaccende il dibattito sulla sicurezza del taser, strumento in dotazione alle forze dell’ordine italiane dal 2018. Nonostante sia classificato come “arma non letale”, il suo utilizzo ha provocato in passato diverse vittime anche in Italia, tra cui Elton Bani, 41 anni, morto a Sant’Olcese (Genova) il 17 agosto, e Ferruccio Demartis, deceduto a Olba tra il 16 e il 17 agosto, entrambi colpiti da carabinieri. A giugno era stato il trentenne Riccardo Zappone a perdere la vita a Pescara.
Il taser funziona tramite due dardi collegati a fili conduttori, che rilasciano una scarica elettrica capace di provocare una contrazione muscolare istantanea e immobilizzare temporaneamente il soggetto. Il modello adottato in Italia è lo X2 della Axon, evoluzione del modello X26 che le Nazioni Unite avevano giudicato equiparabile a uno strumento di tortura.
Critiche di organizzazioni internazionali
Amnesty International ha più volte denunciato la pericolosità del taser, documentando centinaia di morti negli Stati Uniti dal 2000. L’organizzazione sottolinea che il dispositivo “non è un’arma a rischio zero”, soprattutto quando utilizzato su soggetti in stato di alterazione o con problemi cardiaci. Il Comitato ONU contro la tortura ha inoltre evidenziato che l’uso del taser può rappresentare una forma di tortura a causa del dolore intenso che provoca e del rischio di decesso in alcuni casi.
L’episodio di Reggio Emilia riapre così il dibattito sull’uso dei dispositivi di coercizione non letale da parte delle forze dell’ordine e sulla necessità di protocolli più stringenti per tutelare la vita dei cittadini in situazioni di emergenza psicofisica.